A dream of youth.

Un sogno. Un canto alla giovinezza.

"Cos'è la giovinezza? Un sogno. Cos'è l'amore? Il contenuto del sogno." Questa citazione di Kierkegaard apriva Un altro giro, uno dei più bei film dell'anno scorso. Ma se c'è un film per cui è perfetta, è assolutamente l'ultimo di Paul Thomas Anderson. Che tanto a lungo abbiamo atteso e che ora, finalmente, dopo l'iniziale uscita prevista a febbraio e poi rimandata, possiamo vedere in sala.

"Perché i tempi sono degenerati fino a questo punto? Perché la gioventù, l'ambizione e la semplicità sono decadute e il mondo è diventato così biasimevole?“ Neve di Primavera, Yukio Mishima.

Licorice Pizza è un film il cui senso di meraviglia va in crescendo. E le ore, il giorno, i giorni dopo, è destinato a crescere sempre di più. Senti quel tipo di piacevole sensazione di gratitudine e felicità, per aver visto un film che riempie il cuore e la mente.

Dopo un capolavoro così intenso, particolare e di impensabile perfezione come Il filo nascosto, Paul Thomas Anderson sembra voler tornare ad una dimensione relativamente più leggera e malinconica. Così come già fece per la prima volta dopo il monumentale Magnolia, che venne seguito da un gioiello di romanticismo estremo e speciale come Punch Drunk Love.

Ma ad Anderson piaceva già allora spiazzare, così quando annunciò che dopo il colossale ed ambiziosissimo film di fine millennio della durata di tre ore ed un cast di superstar, avrebbe realizzato "una commedia romantica con Adam Sandler", la stampa non sapeva come reagire. Il risultato fu un altro lavoro meraviglioso ed indimenticabile.

Ora, dopo altre opere di immensa portata artistica, che hanno di fatto consacrato Anderson come una sorta di Kubrick dei giorni nostri, esce il suo nuovo lavoro. Ed è un ritorno appunto alla leggerezza, che ha la forma, anche questa volta, di un nuovo viaggio nel tempo - che Anderson, d'altra parte, ha già praticato più volte, da Boogie Nights a The Master a Vizio di forma, da Il Petroliere allo stesso Phantom Thread. Attraverso l'unica vera macchina del tempo a nostra disposizione: il cinema.

Licorice pizza fa riferimento all'epoca d'oro del vinile. Infatti, le "pizze alla liquirizia" sono proprio i vinili. Ed era il nome di una famosa catena di negozi di dischi degli anni '70 americani. Gli anni, ovviamente, del Vietnam, della disillusione post '68. Gli anni di David Bowie e di tanto altro. Gli anni dell'infanzia di questo grande autore. La meta preferita del viaggiatore Anderson.

Licorice pizza è la riaffermazione su schermo di un mondo del passato, un mondo di sentimenti che possono nascere e svilupparsi attraverso il tempo ed il reciproco attaccamento, la consapevolezza graduale di un affetto e di un legame imprescindibile. È un mondo analogico, riportato in immagini nel nostro mondo digitale. È due persone che si rincorrono l'un l'altra, cercandosi e ritrovandosi sempre. Fino ad un emblematico finale che vale tutto lo stupore che ciclicamente il cinema sa rinnovare e riproporre.

L'arte in cui bellezza del sentimento umano viene riprodotta, filtrata. Infine restituita a noi nella sua essenza più pura in quanto irreale ma capace di lasciare un velo di commozione ed idealizzazione onirica. Di positività.

Paul Thomas Anderson significa Cinema. Ed anche se questo magari non è il suo più grande film, è l'ennesimo tassello di un'opera senza eguali nel cinema contemporaneo per varietà e perfezione.

Il film è costato 40 milioni di dollari, e vede due esordienti protagonisti: in pochi potrebbero permettersi qualcosa del genere. Ma Anderson può tutto e ci fa dono della presenza del figlio del compianto e mai dimenticato Philip Seymour Hoffman - suo attore feticcio fin dall'esordio con Sydney -, che fa una figura splendida. Assieme ad una Alana Haim - anch'essa alla prima apparizione cinematografica - a sua volta bravissima e che mette in mostra una straripante sensualità. Straordinaria la breve apparizione di Sean Penn e memorabile il cameo di Tom Waits. Così come quello di DiCaprio Sr. E soprattutto clamoroso il ruolo minore di Bradley Cooper, nei panni del produttore John Peters, che dà un tocco di follia e realtà. Come già era riuscito a fare Tarantino in C'era una volta a Hollywood. Creando un cortocircuito tra finzione e realtà, ricordi e sogni.

Vari momenti riportano alla mente precedenti immagini scolpite su pellicola da Anderson in passato. È un film che porta il marchio del suo autore in ogni frame.

Stupendo.

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