All'inizio è stato un colpo di fulmine con la locandina dai colori ispirati e con quell'insegna luminosa alla Disco Stu.

Alla fine invece, la copertina era proprio una maledetta figlia di puttana.

Fino a qualche tempo fa non ero tanto preso da Paul Thomas Anderson, forse perché ho visto tre o quattro film di pari passo con i loro tempi di uscita alle Calende Greche. Forse le età, forse l'astuccio culturale non proprio gonfio, forse non così tanto interesse. Sicuramente non ne ho mai colto nemmeno l'estetica, ma grazie al signore patreterno gli è capitato tra le mani l'adattamento cinematografico di questo libro qui, ed ecco che ho una nuova possibilità.

Tre cose su tutto: Joaquin Phoenix, i Settanta, la Regia. Basterebbero, ma è un film che strafà. Con la musica, con l'ironia, con il colore, con la passione, strafà.

La sceneggiatura ti trasforma il cervello in un intestino, te lo srotola, lo usa come palloncino per fare un cagnolino e ti dice tieni ora sciogli e rifai. Infatti c'è da mettersi in testa che non solo ci son quasi centocinquanta minuti di srotola e arrotola, c'è pure la possibilità che non basti una (specie se grossolana) visione (di apprezzamento, più che comprensione), e nemmeno due; tre si, tre bastano e avanzano che cazzo.

Joaquin, o Doc, o Sportello, è uno sbirro che riceve una richiesta d'aiuto dalla sua ex, Sashta: il suo attuale compagno è un riccone immobiliare di Los Angeles, sposato con una donna che, assieme al suo amante, intende fare internare il riccone per ovvi fini. Birretta, e Doc inizia le sue indagini, le indagini di un fattone con l'andazzo Lebowskiano (d'obbligo andare oltre le parvenze in superficie).

Sullo sfondo di una fotografia clamorosa che odora d'erba, sul confine di due epoche, nel bel mezzo di una caratteristica scenografia 70's parlante, Vizio di forma canta: ora tu vieni con me. Più dentro ad un cervello, che dentro ad un film. Il "vizio inerente" del titolo (in originale "Inherent Vice") prende forma nella mente e si prolunga nelle azioni che una dopo l'altra costituiscono i pezzi di un puzzle che nessuno ha intenzione di completare. La butto lì: no.

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