Ultimo baluardo della cultura Mod e niente meno che il capostipite del Britpop, Paul Weller è conosciuto da tutti come "Modfather" e continua a percorrere il suo tortuoso cammino tra le insidie del mercato musicale e dei media, che hanno come unico divertimento quello di bombardarci con "musicisti" privi di una loro identità artistica.

Sapete, più di una volta ci si trova in uno stato d'estrema indecisione su come strutturare il proprio "CD Compilation", nel quale racchiudere i pezzi dei gruppi che in quel periodo passano sotto le nostre grinfie, diciamocelo chiaramente, quel furbetto di Weller con il suo ultimo lavoro ha fatto la medesima cosa, in sostanza ha voluto onorare coloro che l'hanno ispirato negli anni precedenti, una specie di indottrinamento da parte dei mostri sacri che hanno tirato fuori il meglio del suo spirito artistico ed espressivo. Paul ha sempre avuto molta dimestichezza nel lavorare con pezzi non suoi e da questo suo interesse nasce il suo ultimo lavoro, Studio 150, una rielaborazione di 12 tracce in chiave Britpop, Rock, qualche assaggio di Funky, e quel retrogusto zuccherino che si scopre ascoltando a fondo il disco. I fedelissimi che si sono rinchiusi nello studio di registrazione, per l'appunto il 150, sono il chitarrista Steve Cradock, il bassista Damon Minchella e l'immancabile batterista Steve White, il risultato è un lavoro con mescolanze di grinta e dolcezza, dalle tinte passionali e quella ventata di freschezza nei ritmi che rende il disco orecchiabile.

Si parte subito con "If I Could Only Be Sure" uno schiaffo emozionale, una rievocazione al periodo Mod dei party, del dancefloor con quel "beat" pulsante in stile Northern Soul di Nolan Porter; un trasportante ritmo che ti lascia spaesato nel mezzo di una stanza con luci soffuse ma piena di gente immersa nella musica suadente e graffiante. Dopo l'avvolgente suono della prima traccia ci s'immerge in uno stato di narcosi e spossatezza al quale non si può sfuggire, "Wishing on a star" è una rilassante ballata con pennellate di arpe ed accese chitarre di velluto elettrico. Lo stordimento non ha lunga durata perchè subito ci si riprende con la frizzante e caricata "The bottle", accurata denuncia sociale da parte dell'attivista/polemista afroamericano Gil Scott-Heron, un suono dal tipico stampo Funky, in una miscela che racchiude un ritmo galoppante prodotto dal giusto dosaggio di Sax, Flauti e Wah Wah. "Black is the color" rappresenta la parte struggente e drammatica dell'opera, celebre ballata tradizionale nella quale viene ospitato il malinconico violino di Eliza Carthy. L'affascinante carrellata di sonate si conclude con "Birds" sulla quale viene fatto un trattamento Spiritual, centrato sull'arrangiamento pianistico di Weller.

Il questo disco si trovano tutte gli sfaccettati e policromatici aspetti della sua musicalità, dal Rocker al Cantautore, dalle carezze pop-soul del periodo con i Style Council alle chitarre acustiche che fanno da padrone all'interno del disco; ci vengono inoltre proposte tutte le qualità di Paul: energia, melodia e concisione. Un cocktail mai stridente che mescola gli ingredienti in giuste dosi, senza eccessi o sperimentazioni musicali che potrebbero rovinarne l'integrità.

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