"It's challenging,but there's nothing wrong with challenging your audience. It shows respect, rather than putting out the same shit every year."

Così il Modfather Paul, a proposito di Wake Up the Nation, britannicissimo disco di rock del secondo decennio del nuovo millennio...un rock contaminato, pulsante di blackmusic, con più Blur che Jam, ma sopratutto muscolare, diretto, sferragliante, sanguigno (“Find The Torch, Burn The Plans” intonato dalla curva allo stadio), zeppo di turbo-pianoforti, Rhythm & Blues, aperture soavi e potenti linee di basso (per intenderci il torreggiante Glen Matlock live nel tour di Soldier dell' Iguana).

Solo 4 brani su 16 superano i tre minuti di durata, e al primo ascolto ci sente letteralmente strapazzati: il Nostro è un cinquantenne ancora arrabbiato e in piena forma: non si fa a tempo ad entrare nel mood di un brano che muta il paesaggio sonoro, qui si consiglia di lasciarsi trasportare nella vertigine. Aleggia un senso di provvisorio, di strappato via, di selvatico ma elegante, con Paul Weller preda di urgenza espressiva, non sempre lucida ma detta bene: da “Moonshine” brano di apertura (una botta di “Let's Stick Togheter” di Bryan Ferry che era il “Let's Work Togheter” di Wilbert Harrison) si passa alla title-track figlia o nipote di Quadrophenia per passare subito nel mondo Motown con “No Tears No Cry”.

La sequenza che preferisco (con accenni di gustosa somiglianza nel recupero vintage ai Divine Comedy) è formata da “In Amsterdam”, “She Speaks”, il già citato anthem “Find The Torch, Burn The Plans” e “Aim High” da assegnare a Marvin Gay o Curtis Mayfield. “Andromeda” farà contenti le vedove di Bowie primi anni settanta, anche se tutto l'albo mi riecheggia, mutate le mutande, l'intensità elettrica di Live at BBC 2000 del Davidino. La parata finale è scandita da sventagliate di chitarre, sfrigolii elettronici e canti corali attorno ai tavolacci del pub, prima del sermone di Paul: “social networking sites are bullshit”, così siam tutti serviti.

Per quanto riguarda i contenuti dell'albo cito lo stesso autore: “I testi hanno per tema la situazione della nostra nazione e del nostro sentire al riguardo, quindi il risveglio è innanzi tutto un flusso di coscienza”, ad eccezione di “Trees”, cenofafio in più movimenti dedicata al padre scomparso, non proprio imprescindibile. Guests Kevin Shields, chitarrista di My Bloody Valentine nella compressa 7 & 3 Is The Striker’s Name, e il bassista dei Jam Bruce Foxton in "Fast Car, Slow Traffic" 1'58” di pura stravaganza. Garantiti all'ascolto vent'anni di meno, almeno per noi giovani.

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