Deve essere stato un shock (...the Monkey ???eh eh!) per Paula Cole, doversi confrontare con calibri di intensità vocale quali Kate Bush e Sinéad O'Connor, ma quando hai un angelo protettore che di cognome fa Gabriel, stai sicuro che ne esci in ogni caso col minimo delle ferite o, alla meglio, dignitosamente a testa alta. In tempi non lontani, infatti l'ex Genesis, affidò alla promettente cantautrice americana il ruolo femminile per  splendidi duetti (Blood of Eden e Don't give up, per citarne solo due) facendosi accompagnare in tour. Non solo. Durante quel meraviglioso spettacolo, Peter Gabriel si dimostrò ancora più gentleman regalando a Paula grandissima visibilità, sia musicale che scenica (chi non si ricorda il fantastico Secret world live?!).

Paula, da parte sua, se la cavò benissimo e, superata la prova, si rimboccò le maniche  per non vanificare quanto fin lì le era stato concesso. Sì perché nonostante la buona accoglienza del primo lavoro ("Harbinger" 1994) uscito poco dopo il tour, la cantautrice faceva fatica ad inserirsi nell'affollatissimo gineceo del cantautorato femminile d'oltreoceano (penso alla prima Mclachlan, a Fiona Apple, a Natalie Merchant, Alanis e la Sheryl Crow prima maniera, a Tori Amos, ecc.). Che dire, una vera e propria Età dell'oro.

Fece allora bene a studiare una strategia furbetta per questo "This Fire". Tanto furba che in molti ci cascarono, me compreso. Attenzione: non che questo sia un brutto disco, tutt'altro. A dodici anni di distanza si difende ancora bene. Ma siamo sempre lì, ovvero: voler colpire un uccellino con una palla di cannone.

In questo caso il proiettilone si chiamava "Where Have All The Cowboys Gone?" immenso e fraintesissimo hit commerciale, a cui va aggiunto "I Don't Want To Wait", che sicuramente sbancò ma che allo stesso tempo stemperò di molto il ben più fulgido calore che codesto falò sprigionava. Io stesso mi ritrovai spiazzato di fronte ad un vero e proprio zibaldone sonoro: piano ballad e easy-pop, ammiccamenti soul e oscure spirali (stupenda "Nietzsche's Eyes"). Un continuo saliscendi fra struttura e de-struttura del formato canzone.

Basterebbe la sequenza delle prime sei canzoni a far capire che Paula è molto altro rispetto "where have all...". Forse un po' tutte le cantautrici citate sopra, forse nessuna. Se tutto il disco avesse mantenuto l'alto profilo della sua prima metà e non si fosse perso in inutili rivoli ("Road To Dead", "Me"), ci ritroveremmo di fronte alle cinque palline. In verità ho come l'impressione che con "This Fire" Paula abbia detto tutto ciò che aveva da dire e che questo lavoro costituisca l'apertura e la chiusura dello stesso cerchio (quand'anche di fuoco).

Ragione per cui: tre sole palle (che restano comunque,  ed il mio caro concittadino Colleoni insegna, un buon motivo di vanto).

P.S. L'arcangelo Gabriel(e) con scudiere al seguito (Toni Levin) valorizza ulteriormente l'opera comparendo come seconda voce in "Hush, hush, hush".

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