Perché mai ergere l'indolenza a categoria estetica fondamentale?
Se ne hai fatto la tua cifra artistica, magari.
Con testi amari: una poesia a metà strada tra il sobborgo sottoproletario e il college; ma uscita e diretta dove?
Chitarre trattenute, cogenti impacci strutturali a bassa fedeltà, che non vuol dire infedeltà, scampanellii a vuoto, melodie mangiucchiate, batterie e basso che rimpallano senza enfasi, tremore più che altro per paura di vivere "dove la nebbia è a noleggio, se c'è".
Perché no? Fai indie rock!
Gli slacker son stati sempre bistrattati. Ma una lezioncina l'hanno data. Cosa sarebbero i ‘90 senza i “Marciapiede”? Malkmus, ignaro dell’edonismo degli ‘80, reincarna il malessere esistenziale del post punk, ma gli dà una nuova forma, tollerabile; combatte e vince, compromettendosi, la sua battaglia (insulsa da combattere, ma ancor più insulsa da perdere!). Ne esce puro. Come ironizzando, tra screzi e batoste. Eroe semiserio, latore di un'arte povera ma non misera, grande ma rimpicciolita al minimo sindacale, nell'impellenza di esprimersi in modo riluttante ma efficace, che dire come si faccia, beh, lo sa solo lui. E con una fantomatica, lontana bellezza. Ma di bellezza si tratta! Esitante, al ralenti, nascosta. Ma bellezza è. Che fa i Pavement incantevoli. Luccicanti al di sopra della spossatezza, che pur li ha invasati, e sopra a ogni filosofica malattia.
Da quale parte stare, allora? I Pavement tracciano un confine, volenti o nolenti, o ci salti dentro o no. Che poi, quando stai dalla loro parte, basta camminare. Non si vola, non si cade. Ci si contenta di quel che si ha. E, qualche passo dopo, di quel che si è. Se ci vedi una lezione in questo è perché, forse, c'è. Un po' da impresario zen. Improbabile, all' improvviso. Ma presto ti ritrovi a dover pensare prima di parlare o agire! Se mangi l'orso o ti frega, te ne fotti. Questo è quello che deve essere.
"Watery, Domestic" è l'EP col noto volatile da cortile effigiato in copertina tra segnolini, freccette e titoli incisi con rilievi bianchissimi e, a colpo d'occhio, sfuggenti. Quattro pezzi che segano le gambe a partire da "Texas Never Whispers" per chiudere con "Shoot the Singer (1 Sick Verse)". Hai l'impressione del rumore lancinante, della melodia sopraffina, che stia per succedere qualcosa di immenso. Niente! Fosse almeno lo sguardo di Medusa a pietrificarti! Ma niente. Niente scosse. Niente rivoluzioni. Niente sospetti. Eppure sovversione. Come a dirti: Cercavi una liberazione? Sei cieco? Sei già libero in partenza. Fai un po' come cazzo ti pare, ma non rompere. Ti presto l'occhio rubato da Perseo alle Graie?
Un pelo più aggressivi di quel che siamo abituati, ma sempre gentili, non sgraziati né eleganti. Cantano "estati secche e sporche", motel e viaggi in auto, "anime che si sgretolano come una zolla di terra". In "Weatery, Domestic" ci mostrano i calcinacci del loro lavoro. Ottenuti non attraverso acque melmose, ma domestiche ben appunto. Come a dire: li abbiamo lasciati qui, se vuoi venire e vedere... Se vuoi chiamarla "avanguardia estetica"...
Un gruppo di ragazzi a caso, trasandato, coi guizzi del genio. Stephen Malkmus e Scott Kannenberg/Kannberg di Stockton, cittadina sperduta: non troppo lontano da San Francisco, a anni luce da Seattle. E, in particolare, che han fatto, cercando di andare controcorrente, per un po' di tempo, il rock più bello di quello che era.
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