Esiste un’entità musicale capace di imprigionare nella propria essenza il cielo primaverile dell’A.O.R., il sensuale calore estivo dell’hard rock anni ’80, il crepuscolare riffing autunnale dei Deep Purple e l’energia torrenziale racchiusa nel gelido movimento rock scandinavo? I Pavic, nuove leggende dell’hard and heavy tricolore, sono qui per fregiarsi a tutti gli effetti di tale epiteto, forti dell’irrefrenabile potenza del loro debut album “Taste Some Liberty”. Il monicker della band si lega indissolubilmente al nome dell’axe–man Marko Pavic eccezionale chitarrista nativo di Belgrado (ma da anni residente in Italia), diplomato all’Università della Musica di Roma ed allievo di grandi personaggi come Umberto Fiorentino, Massimo Morioni e Massimiliano Rosati. Dotato di un talento cristallino e di una capacità del tutto singolare di plasmare solos dall’intensità emotiva deflagrante, questo straordinario musicista ha deciso di mettere la propria competenza al servizio di un ensemble in grado di trasportare le sue straordinarie evoluzioni stilistiche sui binari roventi del più puro hard rock.
Il combo capitanato dal guitar–hero Marko Pavic e dal sorprendente singer Chris Catena si avvale del prezioso supporto offerto dalla sezione ritmica formata da Aleks Ferrara (basso) e Daniel Flores (batteria, già al lavoro con Mind's Eye ed Xsavior), integrato alla perfezione dalle suggestive evoluzioni tastieristiche di Lorenzo Antonelli.
Eleganza formale, irrefrenabili scariche d’energia, riffs sinuosi e coinvolgenti: questa è la ricetta che rende il loro disco d’esordio “Taste Some Liberty” un prodotto veramente unico nell’ambito del panorama europeo; pubblicato dalla Anteo Records e distribuito in Italia dalla Masterpiece ed in Germania dalla Point Music, questo LP è stato registrato nel 2005 presso lo studio “I Fenomeni” di Roma da Fabrizio Frezza e masterizzato da Dragan Tanaskovic al Bohus Studio di Kungalv in Svezia.
Coordinando al meglio le potenzialità del quintetto, Marko Pavic tesse con abilità passaggi di chitarra molto profondi ed elaborati deliziandoci con la grande prova d’insieme confezionata nell’eccellente dittico iniziale composto dalla granitica “Restless Soul” e dalle suadenti melodie di “Summer Of ‘98”.
Il Nostro omaggia lo stile tagliente ed intenso di Mickey Moody (storica ascia dei Whitesnake) traendo ispirazione anche dal riffing selvaggio di Glenn Tipton (Judas Priest) e dai geometrici solos generati dal sottovalutato Warren De Martini (Ratt).
L’influenza del Serpente Bianco è percepibile per tutta la durata dell’album ma lo stile dei Pavic si dimostra sufficientemente personale da potersi ergere a band di riferimento per la scena europea negli anni a venire, raccogliendo il testimone proprio dalle mani di David Coverdale.
La splendida ballad “Once” introduce con delicatezza una versione heavy del classico dei Supertramp “Logical Song”, mentre il piccolo masterpiece “Desperate Cry” si eleva verso l’empireo grazie ai brillanti fraseggi voce – chitarra egregiamente sostenuti dal groove partorito dalla possente sezione ritmica.
Un utilizzo delle tastiere molto attento e ricercato da parte del bravissimo Lorenzo Antonelli rimanda all’operato di John Lord in “Come An’ Get It” (1981) dei Whitesnake, lasciando intendere di trovarsi finalmente di fronte ad un degno erede del grande Ruggero Zanolini (Vanadium).
Il talento compositivo dei Pavic emerge con prepotenza anche in “Convicted”, “Night Life” e “Fear”, tracce che confermano l’attitudine melodica del gruppo introducendo a dovere la splendida ballata “Sail With Me”, un concentrato di armonie paradisiache che sigillano la consegna ai posteri di questo album capolavoro.
Le multiformi radici di questa band affondano però anche nel delicato A.O.R. di acts quali Journey, Toto e Survivor, lasciando ampio spazio persino a reminescenze class metal tipiche dei Dokken di “Under Lock And Key” (1985) ed a tecnicismi pirotecnici in pieno stile Van Halen.
L’epilogo di questo eccellente prodotto, viene affidato all’esaltante cover dei Rainbow “Death Alley Driver”, song che chiude al meglio un lavoro decisamente memorabile.
Le vocals di Chris Catena si dimostrano efficaci per sottolineare con perizia il tocco incisivo di Marko Pavic, librandosi sulle ali di riffs originali e frizzanti.
In definitiva, “Taste Some Liberty” incarna l’apice della produzione hard rock melodico raggiunto nel nostro paese negli ultimi 15 anni, entrando nel ristretto novero dei capolavori comprendente anche “Pizza Connection” (1989) dei Miss Daisy, “Due” (1989) degli Elektradrive e “Seventheaven” (1989) dei Vanadium.
Grazie alla presenza di collaborazioni particolarmente pertinenti, come quelle di illustri ospiti internazionali quali il virtuoso axe–man Kee Marcello (Europe e K2), i tastieristi Vitalij Kuprij (Artension, Ring Of Fire) e Vivien Lalu, nonché il celeberrimo bass – player Tony Franklin (Blue Murder, Whitesnake e Jimmy Page), il debut album dei Pavic rappresenta, anche a livello di gestione delle risorse umane, un unicum nella storia dell’hard rock italiano.
“Taste Some Liberty” deve essere considerato senza remora alcuna come la più valida risposta del nostro paese all’ondata hard rock scandinava ed al rinato movimento street d’oltreoceano: in virtù di un esordio discografico dalle titaniche proporzioni i Pavic si candidano ad essere eletti “rock band per tutte le stagioni”.
(Enrico Rosticci)
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