I buio... il silenzio... la pace di un'anima in pena... e poi i suoni del paesaggio invernale... Le avventure montane di modesti pastori... il vento che porta con se gli ululati di bestie lontane, ma non troppo...
Questo è "Shattengang", e in generale tutta la proposta di questa one man band svizzera, impegnata da più di otto anni a versare nell'ormai putrido panorama Black metal nuova linfa vitale, gelida e contaminata da sogni eterei che prendono forma nell'ambient eccellente proposto.
"Shattengang" è secondo me il capitolo migliore di questa realtà stupefacente. Un album capace di donare emozioni infinite, se capito nel profondo del suo messaggio.
E per capire a fondo la musica di Wintherr (l'oscura figura ammantata dietro al progetto), bisogna entrare nel suo mondo fatto di inverni infiniti e paesaggi montani, dove i boschi oscuri, dimora di pericolosi segreti, si alternano a radure sognanti e castelli medioevali diroccati su sporgenze impraticabili e impervie.
Un mondo incantato dai sapori ancestrali, dove Wintherr ci guida alla scoperta dei suoi segreti più reconditi, come un arcigno folletto che misero vaga tra i paesaggi invernali, ora alla corte di un grande signore, ora nell'oscurità di sotterranei umidi e cantine segrete, ora nelle infinite distese innevate correndo con branchi di lupi, ora solitario agli estremi confini del mondo.
Wintherr è il cantastorie che tutti noi non vorremmo mai aver incontrato, e che ora ci sta narrando di avventure ai limiti del sogno che non dovremmo ascoltare per timore o per sfuggire alla follia. Una follia nella quale si ristagna, ci si agita, fino al momento di estrema calma che precede la morte.
Si aprono le danze con "Moloc"h, immane traccia dalle tinte fosche e nebbiose, che a tratti si lascia andare in sfuriate tipicamente black, e in altri si vela all'ascoltatore, lasciandolo in balia di tastiere eteree e sognanti. Segue: "Die Zeit Des Torremond", e qui mi soffermerei proprio per descrivere ciò che questa traccia mi ha trasmesso nei suoi oltre venti minuti di durata. Campanacci, il vento che ulula lontano, il rumore degli zoccoli che avanza, poi improvvisamente degli ululati, e la voce preoccupata del pastore che, avvertito il pericolo, inizia a temere per se e per le sue bestie. Una prima parte si snoda attraverso magiche note di sinth e chitarre distorte e gelide che suscitano ad ogni ascolto mille emozioni diverse. Poi la musica lascia spazio ancora alla vicenda del pastore, che ora è costretto a lottare per la propria vita, perché le belve sono arrivate correndo dalla foresta e stanno decimando il suo gregge. La neve si tinge del sangue di belve e di bestie, solo il povero pastore si salva, ma per lui resta ancora il viaggio di ritorno al suo villaggio. Così riparte la musica, a narrare i paesaggi notturni che di dilatano agl'occhi impauriti dell'uomo, inerme e indifeso davanti alla natura notturna, il freddo e il vento sferzante gli accecano la vista, le sue gambe incespicano in radici antiche quanto la roccia stessa. Quando tutto sembra finito, una luce lontana si intravede tra la fitta vegetazione delle conifere, e il pastore è finalmente salvo.
Le ultime note indicano i suoi ultimi faticosi passi verso la salvezza, il pastore, ormai ai limiti della sopportazione umana, chiude dietro di se il portone, ora è al sicuro nel caldo della sua dimora.
La natura ha appagato la sua sete di sangue, ora tutto tace, la morte del pastore è accompagnata solo dalle note dell'ultima traccia: "Atmosphaere", in pieno stile dark ambient, alla fine le tastiere sognanti si diramano, e lentamente il sonno avvolge l'ascoltatore, il silenzio regna sovrano su tutto, la natura invernale è soddisfatta.
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