I Pazop sono una band belga che pur con un solo disco è riuscita a dimostrare cosa significhi coniugare espressioni di imprevedibile avanguardia, dalla personalissima lettura, con elementi già noti e rivisitati con intelligenza e scanzonata malizia.

Il disco, uscito nel 1972 e ristampato dalla Musea nel 2000, è un'incredibile girandola di eccellenti momenti musicali, che hanno riferimenti in Frank Zappa e nella musica di Canterbury. Non tragga in inganno il discorso "riferimenti" perché i temi citati vengono abilmente miscelati con partiture dal sapore classico, potendo citare autori della portata di Tchaikovski o Dvorak. I brani del disco, sedici in tutto, sono dei rapidi disegni dove il dadaismo incontra la metafisica e se alcuni particolari sembrano colorati in acquerello tenue e romantico, altri sembrano squadrati e imponenti.  Il Mellotron e le tastiere nelle parti maggiormente sinfoniche formano tessiture elaborate sulle quali il violino (il fenomenale polacco Kuba Szczepanski) e la sezione ritmica riescono a prodursi anche in fughe di granitico jazz-rock. Per contro ci sono momenti vocali o di flauto che ci portano per mano in un giardino fiorito di bucoliche attrattive dove la serenità, che come nella vita dura un solo istante, viene tranciata per fare posto ad un'altra follia sonora, magari in onore a Kevin Ayers o ai Matching Mole.

Nel 1973 la band tentò un secondo lavoro, ma per problemi con l'etichetta la composizione venne fermata, decretando il totale scioglimento dei Pazop. I brani terminati sono comunque aggiunti nel CD della Musea, che ritengo di poter consigliare senza timore agli amici dei generi tratti.

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