Sono un amante dei Pearl Jam. Hanno scandito i momenti più importanti della mia vita e sicuramente sono 18 anni che mi deludono constantemente in studio. Dalla mattina del 2002 quando usci’ quel capolavoro, troppe volte sottovalutato e non capito, di Riot Act non sono riuscito più ad emozionarmi davvero. Le opere che seguirono furono un divenire di disastri annunciati a partire dall’ Avocado (il tentativo fallito di replicare un All that you can’t Leave behind) fino al punto più basso LB(davvero scadente sotto qualsiasi punto di vista) passando per quel Backspacer che ha fatto fare molta cassa ai Nostri ma rimane un disco davvero buttato li’ in una notte per andare in tour. Con queste premesse e dopo 7 anni di silenzio, in cui sicuramente la presa di coscienza sulla situazione è stata forte, ieri è stato diffuso Gigaton. Tralasciando il tema ambientalista, a dire il vero sempre presente nelle composizioni passate e retaggio del buon vecchio Neil, la vera novità è il produttore Josh Evans. Il vero pregio della sua operazione al di la’ della Tecnica sonora in Dolby Atmos è aver capito chi sono i Pearl Jam nel 2020. I 5 componenti hanno vite, famiglie e progetti paralleli che non consentono più di stare in studio insieme per mesi come si vedeva in Single Video Theory del 1998. Dove Brandon O Brien ha solo accentuato le scarsità di empatia e lavoro condiviso Evans rilancia lavorando ai pezzi lasciando massima libertà ai compositori lavorando in solitaria con ognuno di loro e creando a gran fatica un prodotto dove si vedono chiare le diverse anime musicali ma finalmente una coesione anche morale che sembrava persa per sempre. Gigaton è un album compatto, chiaro negli intenti e dal suono curato. Non tutto è a fuoco, anzi, ma quello che stupisce è il coraggio. Coraggio che si può avere nel 2020 anche facendo rock!. L album è idealmente diviso in 4 parti ben riconoscibili, le prime 4 tracce sono, per modesto parere di chi scrive, il migliore inizio da yield. Who Ever Said (ottima nella seconda parte)e Superblood (bellisismo il bridge) seppure in una veste musicale diversa sanno scuotere l’ ascoltatore. Dance of The Clairvoyants è il vero capolavoro di cui si è parlato tanto e Quick Escape (ho sentito parlare di School dei Nirvana senza alcun senso) un pezzo denso cattivo con una base ritmica di altissimo livello. Si entra poi nella prima parte di calma apparente del disco formata da Alright e Seven O’ Clock. Nella prima Ament riesce a farci immergere di nuovo nelle atmosfere di Binaural mentre la seconda è un altra novità compositiva. Si sentono molto le influenze dei Pink Floyd più melodici ma non è un danno in questo caso anzi, il pezzo attraverso un testo molto lungo e sentito centra in pieno L obiettivo. La terza parte è sicuramente la più incerta ma anche sorprendente di Gigaton. Never Destination è davvero un disastro se non fosse per gli ultimi 30 secondi. Tornano i Pearl Jam più scontati e senza nulla da dire ma per fortuna Cameron con Take the Long Way ci regala la sua composizione migliore da quando è entrato nel gruppo con un sound molto Soundgarden e qui totalmente a fuoco con un finale meraviglioso. Discorso a parte per Gossard in Buckle Up: difficile da digerire a primo impatto il brano è una versione moderna di Around the Bend ma con intrusioni di swing con una linea melodica che potrebbe cantare anche Sinatra. Si arriva così naturalmente agli ultimi 3 pezzi. Comes Then Goes è la confessione malinconica di Vedder. Musicalmente è evidente L omaggio al Dylan di It’s All Over Now ma lo fa con grande gusto e una chitarra acustica di matrice Who che mantiene un equilibrio sorprendente non scendendo mai in soluzioni melense alla Just Breathe. Retrograde e’ di un Mc Cready che ha capito forse l’ errore fatto con Sirens e sforna una ballata intensa con un finale dove sono evidenti i marchi di fabbrica di Vedder in Into The Wild. Infine River Cross rappresenta il fine di stampo Peter Gabriel giusto per Gigaton, una sorta di Biko del 2020 ma dove in Gabriel c era protesta qui c è malinconia e commozione. In conclusione Vedder è non sempre gradevole con la voce a volte troppo testarda nell’ enfatizzare ma ci regala comunque una prova che sembra voler urlare urgenza e passione, mentre la band suona davvero bene comunicando (soprattutto le chitarre) con grande armonia. i Pearl Jam non devono certo dare le linee guida della musica moderna anzi,come è giusto che sia, si sono fatti da parte ma Gigaton è un album ispirato, emozionante e soprattutto SEMPLICE nella sua accezione più bella.
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