La moda vigente tra i gruppi è quella di continuare a sfornare album anche quando non si ha più nulla da dire, quando i componenti arrivano al mezzo secolo d'età, andando a contaminare in molti casi la propria discografia. Ascoltando i primi due singoli di "Lightning Bolt", in particolare lo pseudo-punk "Mind Your Manners", ho temuto che fosse ormai giunta l'ora anche per il gruppo che più di tutti mi ha scaldato il cuore da quando ho imparato ad usare le orecchie.

Quanto è stato bello essermi sbagliato! Per quanto mi riguarda si tratta del loro migliore episodio dai tempi di "No Code", nessun dubbio a riguardo. Un album che ha nel suo cuore perle di assoluta bellezza.

La partenza è affidata a "Getaway", classico pezzo a-la Vedder, nulla di stupefacente se non fosse per l'elaborata linea vocale. Eddie ha ritrovato una forma dimenticata da ormai più di un decennio, in cui sia in studio che dal vivo si affidava soprattutto all'aggressività delle sue urla per stupire. Ora invece si ha una prestazione che ricorda la pulizia degli esordi, ma applicata a pezzi decisamente meno rindondanti.

Si prosegue poi con tre pezzi carini, ascoltabili, ma nulla di esaltante. Il cambio di marcia arriva con la prima title-track della loro discografia, traccia sempre firmata dal cantante, che ha lo strano potere di mettere uno strano sorriso sul mio volto ad ogni singolo ascolto, con il suo riff iniziale estremamente gioioso.

Ciò per cui l'album verrà probabilmente ricordato dai fan della band, però, sono i due pezzi centrali del lotto: "Infallible" e "Pendulum". Suoni non certo inediti per il mondo del rock, ma certamente inusuali per la band di Seattle, come quello della bowed guitar suonata da Mike McCraedy. Il livello compositivo non arrivava così in alto dai tempi di "Present Tense", e questo grazie al ritorno della coppia Ament-Gossard, che non scriveva insieme da quasi vent'anni.

Degni di nota sono poi il delta blues "Let the Records Play" e "Yellow Moon" ("Into the Wild" è sempre dietro l'angolo), contornati da canzoni che comunque non risultano mai noiose. Classica mossa anticommerciale in pieno stile Pearl Jam: il singolo apripista dell'intero progetto è anche il peggiore delle dodici tracce. La fiducia dei fan è stata messa a dura prova nel periodo di pre-promozione, ma la purezza di quest'album è una ricompensa più che valida. Ora ai concerti la gente non dovrà più "sopportare" l'esecuzione dei pezzi nuovi, come è capitato per gli ultimi quattro dischi. I pezzi nuovi saranno attesi tanto quanto i classici di "Vitalogy" o "Ten".

Se non amate i Pearl Jam o se vi siete fermati al 1993, sono sicuro che non proverete a dare neanche una possibilità a "Lightning Bolt". Questa recensione è per chi li ama, per chi considera la voce di Vedder quella di un vecchio amico che vi conforta quando ogni giorno sembra troppo uguale al precedente. E per chi attende il loro ritorno in Italia, per chi attende di essere ancora una volta di essere investito dall'energia che questi cinquantenni riescono ancora a dominare.

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