Spesso, nella musica rock, capita che i fan siano portati a lamentarsi dei lavori recenti delle proprie band, perché hanno deciso, dopo aver sfornato iniziali capolavori, di cambiare il loro stile e renderlo più commerciale (vedi alla voce Red Hot Chili Peppers o Metallica, giusto per citarne qualcuno). Niente di tutto ciò può valere, però, per dei pionieri come lo sono stati e lo sono tuttora i Pearl Jam. Al contrario, mentre i primi due album (Ten e Vs.) potevano risultare radiofonici e risentivano non poco degli influssi grunge di quel periodo, ecco che con Vitalogy il suono della band di Seattle si incupisce e la musica diventa, mai quanto adesso, espressione di sentimenti nascosti, reconditi. A causa di questo atteggiamento anti-commerciale, il gruppo ha speso la maggior parte degli anni '90 ad allontanare la propria fama. In venti anni di carriera, i Pearl Jam hanno sempre preferito, nella composizione di un album, la visione artistica all'accoglienza commerciale del pubblico.
Per certi aspetti, la terza fatica del gruppo rappresenta la fine di un'era e, perché no, segna la fine del grunge (sempre se di grunge si può parlare): fu l'ultimo album ad essere pluripremiato e numerosi furono i singoli che passarono alla radio. Nonostante il primo lavoro della band fosse stato etichettato come grunge, esso in parte si discosta ai lavori di band come Nirvana e Alice in Chains. In gran parte ispirato al "classic rock" degli anni '70, Ten è carente di chitarre distorte, drumming intenso e il fuzz tipico delle band grunge. Vs. suona molto meno lucido e risulta più spoglio rispetto al precedente, ma è proprio "Vitalogy" a segnare una svolta e un radicale cambiamento. Mentre tutte le canzoni (o quasi) dei precedenti due album potevano essere considerati potenziali singoli radiofonici, il nuovo album contiene, sia per quanto riguarda i testi sia per quanto concerne le melodie, brani più vaghi e di difficile interpretazione. In breve, "Vitalogy", dei primi tre album, è quello dal suono più grunge, senza dubbio il meno commerciale e di gran lunga il più astratto.
Ciò non deve essere affatto visto come una critica: la band capitanata da Eddie Vedder sapeva di star creando una collezione caotica, ma allo stesso tempo coesa di canzoni. Ecco che a momenti di durezza e velocità (Last Exit, Spin the Black Circle, Not for You) si alternano malinconiche e nostalgiche ballate, indiscutibilmente tra le più riuscite della band (Nothingman, Better Man, Immortality); il tutto inframmezzato da alcuni divertissement (Pry, To, Bugs, Aye Davanita), che tolgono quel pizzico di serietà a quest'album superbo.
La genialità dell'album e della band non si esaurisce nella musica, ma è riscontrabile anche nel libretto, una sorta di dizionario medico pieno di foto in perfetto stile 18° secolo con annesse richieste assurde contro l'aborto da presentare al presidente Clinton oppure foto di mura con la scritta "Bush boia" o ancora disegni di uomini e donne legati indissolubilmente da piercing. Insomma, un ritorno ai tempi più personali e artistici del vinile, contrapposti alla fredda immobilità del CD.
In definitiva, "Vitalogy" può essere considerato come un album atipico nel repertorio di Vedder & Co e forse non il migliore per approcciarsi alla loro musica, ma senza dubbio rimane un album sorprendente, intrigante e seducente. Un must-have per tutti gli appassionati della buona e autentica musica.
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