Se si dovesse scegliere un solo album che possa rappresentare i Pearl Jam, Vitalogy sarebbe probabilmente la scelta migliore. Uscito in un periodo di grande tensione all’interno della band, è scuramente il più oscuro e sofferto di tutta la discografia.
Uscito nel ’94 quando la band era all’apice della fama, Vitalogy, trae ispirazione da un enciclopedia di fine '800 che si proponeva il semplice obiettivo di prolungare la vita dispensando consigli pseudoscientifici come evitare la masturbazione e altre amenità del genere.

L’album rifugge la retorica che aleggiava nei lavori precedenti e giunge a una maturità espressiva ormai completa e definitva. In perfetto equilbrio tra la rabbia degli esordi e le contemplazioni della maturità, i Pearl Jam imbastiscono un sound più crudo e dolente rispetto al passato, che trova la sua massima espressione in brani come Last Exit, Not For You e Tremor Christ. Altra scelte significative del loro fastidio nei confronti dello star system (almeno da parte di Vedder) sono quelle di non apporre il nome in copertina e di scegliere come singolo Spin The Black Circle.
La scaletta contiene anche delle bellissime ballate rock che diverranno il marchio di fabbrica dei cinque, su tutte spiccano imponenti Corduroy, Nothingman e Immortality.
A rendere più straniante e torbida l’atmosfera vi sono, disseminati nella scaletta, alcuni brevi episodi che rasentano il nonsense, vedi Bugs.

Quest’ album segna l’ormai definitiva maturazione dei jammers, la perdita dell’innocenza di una band che, grazie al carisma e alla coerenza, continua a rappresentare ad oggi uno dei migliori esempi di quel catalizzatore di passioni ed emozioni che continuiamo a chiamare rock.

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