Tre persone su quattro a cui ho fatto ascoltare questo disco hanno unanimamente commentato: "Ma che ti sei messo a comprare? Il cantante non pronuncia la "S", le canzoni sono noiose, le melodie tutte uguali... proprio non mi ispira".

In effetti anch'io la prima volta che ho sentito la voce di Tom Rapp, ho provato qualche perplessità sulla credibilità di questa musica. Eppure la pazienza e la voglia di conoscere questo album mi hanno permesso di apprezzarne il fascino ambiguo e tagliente. I Pearls Before Swine si formano nel 1965 e molte sono le voci riguardo la loro leggenda (si dice che Rapp avesse battuto Bob Dylan in un concorso di poesia). Nel 1967 (anno di grazia per il rock bla bla bla...) ottengono con l'ESP un contratto discografico. Sebbene la loro opera più famosa sia il secondo album "Balaklava", il loro esordio merita una rivalutazione.

"One Nation Underground" per molti (io personalmente mi astengo da giudizi) è la loro migliore creazione, o almeno quella che più incarna lo stile ironico ed inquietante della band. Presentiamo uno ad uno i personaggi dell'opera: Tom Rapp (voce, chitarra), Wayne Harley (mandolino, banjo, vibraphone), Lane Lederer (basso, chitarra -solitamente), Roger Crissinger (organo).

La copertina è certamente il primo dettaglio che esercita un notevole fascino: lo splendido "Giardino dei Piaceri" di Hieronymus Bosch è il biglietto di visita di un enigmatico viaggio sonoro (/psicologico). Come nel successivo "Balaklava" è affrontato l'orrore della guerra, Rapp qui riveste un ruolo di filosofo/ profeta gentile nella musica, tagliente nei testi. Nessuno può resistere alla delicatezza dell'arpeggio iniziale di "Another Time": le progressioni da Re a Do (credo sia questa la tonalità) introducono un'atmosfera rilassante, o meglio "surreale"; la voce prosegue splendidamente "Where have you been to? Where did you go?", ma inciampa sul verso "Did you follow the Summer Out".

Cavolo! Ma chi è questo cane? Che voce.... Va be, non scoraggiamoci. Andiamo avanti.

Le fatali "S" si succedono ripetutamente ma presto ci si fa l'abitudine. Dopo aver sentito per la quinta volta "Have you come by again to die again or try again another time" non puoi resistere alla tentazione di risentire nuovamente il brano. Scatta la scintilla!

L'organo festoso di "Playmate" dimostra una forte influenza del folk tradizionale, la voce assume un'impostazione sempre più dylaniana (da "Ballad To An Amber Lady" a "Drop Out!"). La seconda facciata (da "Morning Song" alla splendida "The Surrealist Waltz") assume un tono più pacato ed intimista. Se la ballata "(Oh Dear) Miss Morse" ricorda vagamente gli anni '40, "Uncle John" è un interessante esempio di folk rock, paragonabile a quello dei Fairport Convention. Le "S" continuano a saltare, la chitarra procede con arpeggi apparentemente simili, l'organo assume continuamente un carattere percussivo, ma ora non sono più difetti, sono elementi di un personalissimo stile.

Certamente, se vi aspettate un capolavoro di psichedelia di fine decennio, siete totalmente fuori strada (il sottoscritto ne sa qualcosa); se non avete idea di cosa si tratti o almeno preferite non trarre conclusioni avventate, apprezzerete meglio questo splendido manifesto di Acid Folk. La psichedelia ha un ruolo marginale, il folk prevale, il surrealismo prende vita. Buon viaggio!

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