"Ars Longa, Vita Brevis"
"...Dopo il successivo Being del '74 la storica formazione a quattro si scioglierà, ma i Wigwam non finiranno con essa poiché i due fondatori Ronnie e Jim creeranno una nuova incarnazione della band, mentre Jukka e Pekka si concentreranno sui propri progetti solisti, dei quali magari potremmo parlare, un giorno o l'altro..."
16 Giugno. È già trascorso un anno da quando scrissi queste parole. Sarà che, nel frattempo, molte cose sono accadute ed altre ancora sono irrimediabilmente cambiate, ma sembra sia passata un'eternità dal momento in cui, rapito da un incontenibile entusiasmo, dipinsi, con un certo debito di obiettività, i pregi di "Fairyport", decantando le epiche gesta dei suoi abilissimi creatori e lasciando il discorso aperto, così da poterlo riprendere in un successivo slancio di passione e stima nei confronti di Jukka Gustavson e compagni, oppure a causa di un travolgente attacco di nostalgia nei riguardi delle fredde e meravigliose terre della Finlandia.
Purtroppo adesso, dietro il digitare febbrile delle mie dita sulla tastiera, non si cela un ritrovato entusiasmo (in realtà mai sopito) o un'insopprimibile urgenza di fare informazione, ma la tristezza ed il profondissimo dispiacere derivati dall'amaro ricordo della morte di Pekka Pohjola, il quale, il 27 Novembre scorso, si è spento alla giovane età di 56 anni, lasciando il mondo orfano di un talentuosissimo bassista e compositore, artefice di alcune delle più belle e importanti pagine di musica proveniente dall'intero panorama artistico finlandese. Data la natura riservata del personaggio i motivi del decesso non sono mai stati divulgati, nonostante non sia un segreto che l'artista, nei suoi ultimi anni di vita, stesse attraversando un periodo difficile, sul quale però ho deciso di non indagare né tanto meno di scrivere, per rispetto nei suoi confronti.
Il prolifico cammino individuale di Pekka cominciò nel 1972 con "Pihkasilmä Kaarnakorva", che, similmente al debutto eccellente di un certo Steve Hackett, avvenuto tre anni più tardi, è caratterizzato da uno stile ancora molto legato al progressive del gruppo di appartenenza del proprio autore, nonostante giochi la sua considerevole parte anche uno screziato e dinamico jazz rock che, difatti, iniziò ad imporsi già nel '74, grazie all'egemonia fiatistica del successivo "Harakka Bialoipokku". La fine degli anni settanta vide la realizzazione di due tra i più ispirati e suggestivi lavori della discografia del compositore nord europeo, dei quali il primo, battezzato "Keesojen Lehto" e prodotto insieme a Mike Oldfield, vanta un linguaggio particolarmente morbido e sognante (vuoi per la maggiore rilevanza del piano, vuoi per l'inconfondibile zampino di Mike e della sorella Sally, impegnata al canto), mentre il secondo, rivolgendosi con occhio ormai esperto al passato, riprende le sonorità dell'esordio e le plasma in un'elegante e jazzata figura, magistralmente intarsiata da sapienti contaminazioni classiche e progressive.
"Visitation", venuto alla luce nel 1979, sembra raccontare lo svolgersi di una tipica giornata in "the land of green and white", dove il candore della neve avvolge in un bianco manto la gelida acqua dei laghi, le profonde vallate, il verde intenso dei fitti boschi e gli incantevoli villaggi che nascono ai piedi delle montagne, componendo un quadro di pace e armonia, fascinosamente sfumato da un sottile alone di mistero, egregiamente rappresentato dalla notturna copertina del disco. L'alba è siglata dal piano di Pekka, il quale, tramite il graduale rischiararsi del cupo tema iniziale, appare come un cielo in trepidante attesa del fulgore solare, che, per l'appunto, non tarda a mostrarsi, sotto le sembianze del sax di Pekka Pöyry ("Strange Awakenings"), generoso nel donare luce, durante l'arco del giorno, alle avventate corse tra gli alberi della chitarra di Seppo Tyni ("Vapor Trails"), alle innocenti marachelle della tromba di Markku Johanssonm, elaborate con la complicità delle percussioni di Esko Rosnell ("Dancing in the Dark"), e alle accademiche e raffinatissime prove della banda del paese, impersonata nientemeno che dalla Philarmonic Orchestra di Helsinki ("Image of a Passing Smile"). Al calare delle rinnovate tenebre le luci delle case si accendono e l'oboe di Aale Lindgren si accinge a cantare con l'ausilio della chitarra, testimoniando uno spirito ancora riluttante all'idea del riposo ("The Sighting"), mentre fuori dalle mura della cittadella, il basso di Pekka intona un malinconico lamento alla vista delle romantiche stelle che sovrastano il paesaggio e sembrano vibrare ad ogni palpitante nota del pianoforte di Olli Ahvenlahti ("Try to Remember").
La fine del disco coincide con il concludersi di un decennio ed il sistematico inizio di un altro, caratterizzato da un'ingannevole partenza jazz rock ("Kätkävaaran Lohikäärme", 1980 - "Urban Tango", 1982), inaspettatamente risoltasi in una decisa virata verso lidi prevalentemente classicheggianti, culminati con l'orchestrale "Sinfonia no. 1" (1990) e protrattisi, seppur discontinuamente, fino al finale "Views" del 2001, che sancisce il termine della considerevole produttività di un personaggio unico, ampiamente meritevole di essere ricordato negli anni a venire per il suo innegabile contributo alla scena musicale, finlandese e non.
Ciao Pekka, spero che nel posto in cui ti trovi adesso, tu sia abbastanza sereno da poter continuare a suonare...
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