Oscuri, massicci, produttori industriali di riff maciullanti, possenti ma a tratti anche monotoni. A seguito di "Australasia" e "The fire in our throats will beckon the thaw", in cui il gruppo dell'Illinois aveva sperimentato e "vissuto" i lidi del doom, con City of echoes, la proposta musicale vira maggiormente verso lo sludge vero e proprio, con qualche inserto addirittura thrash e leggere (e brevi) divagazioni nel post rock moderno. La loro musica strumentale non lascia scampo: i momenti di leggerezza sono pochi ma ben bilanciati all'interno di un album che ha improvvisi lampi di genialità e allo stesso tempo una quantità immensa di riff che si costruiscono su loro stessi, che si spingono a forza nel tentativo di far emergere quello più potente e consono alla melodia.

Confesso di averli conosciuti da poco e non aver approfondito più di tanto la loro discografia è un demerito che cercherò di correggere: eppure, nonostante le critiche che ho sentito muovere a quest'album ho deciso di ascoltarmelo proprio per primo e sebbene il risultato non sia certo un capolavoro che rimarrà negli annali, il totale è comunque un prodotto ascoltabile e poco impegnativo dal punto di vista del minutaggio (soprattuto confrontandolo con quelli passati).

Il sound diviene più diretto e meno ricercato e grazie ad una notevole pulizia sonora possiamo assaporare appieno ogni minima virgola del disco. Un disco che parte con la trascurabile "Bliss in concrete" e prosegue più degnamente con la titletrack, con un inizio soffice che va ad esplodere in una moltitudine di lapilli sonori che si invischiano tra loro. Per "Spaceship broken - parts needed" l'incipit è invece quasi sulla scia di un moderno space rock, quì mescolato alla potenza del metal. Divagazione folk per "Wind with hands" in cui il suono risulta comunque metallico, fantascientifico. Dopo ciò una caduta totale che tocca l'apice nella chitarra/tamarra di "Lost in the headlights" e che riesce a risollevarsi giusto in tempo con la conclusiva "A delicate sense of balance", che rievoca i God is an astronaut per la leggerezza della composizione, sebbene i Pelican suonino effettivamente più "oscuri".

City of echoes è un buon album di metal/sludge strumentale, che abbonda in riff. I Pelican hanno la grande capacità di riuscire con semplicità a trasportarti in posti lontani, siano essi i mari più profondi o le ruggenti boccche di vulcani in eruzione...

1. "Bliss In Concrete" (5:29)
2. "City Of Echoes" (7:05)
3. "Spaceship Broken - Parts Needed" (6:03)
4. "Wind With Hands" (3:55)
5. "Dead Between The Walls" (5:05)
6. "Lost In The Headlights" (4:09)
7. "Far From Fields" (5:18)
8. "A Delicate Sense Of Balance" (5:24)

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