Galvanizzati dal neo-romanticismo reinstaurato con l’album del 2020 i Pendragon proseguono sulla stessa strada ma con un minutaggio ridotto. “Love Over Fear” coglieva un po’ di sorpresa perché usciva dopo un periodo post-prog in cui la band sembrava aver definitivamente dimenticato le proprie origini. Ora ecco la riconferma in miniatura. Stavolta non hanno composto materiale a sufficienza per un album, “North Star” è un EP di 24 minuti, spartiti su 4 tracce di cui 3 appartenenti ad un’omonima suite.

Chi ha apprezzato “Love Over Fear” non dovrebbe assolutamente avere problemi con questo nuovo EP, perché ne è la naturale prosecuzione, la protesi, le caratteristiche sono fondamentalmente le stesse. È ancora un neo-prog sognante e romantico guidato dalle tastiere di Clive Nolan, con un suono brillante e pulito che rimanda al decennio d’oro del combo britannico, sempre però rivisitato in questa veste rinnovata. Come nell’ultimo album permangono i vaghi riferimenti al prog classico anni ’70, dai fraseggi a 12 corde agli echi di mellotron e organo. Ancora una volta abbiamo richiami ad atmosfere lontanamente celtiche o ispirate ad un certo folk britannico, inserti di violino in primis. Di conseguenza anche qui è molto lo spazio concesso a divagazioni acustiche, anzi, stavolta prevalgono.

Ecco, proprio questo aspetto merita di essere evidenziato, è proprio questo l’elemento che viene approfondito a dovere. Se nel precedente album erano più frequenti i fraseggi in stile Genesis qui Nick Barrett osa decisamente di più, a volte sembra proprio giocare con la sua chitarra acustica, adotta uno stile spesso frizzante e coinvolgente. Nel primo movimento della suite effettivamente suona molto Genesis ma nel secondo fa l’inimmaginabile, prima graffiando di prepotenza ma sempre con dolcezza le corde dell’elettrica, poi facendo scorrere le dita con vigore e velocità su quella acustica, con un approccio che resta sospeso fra atmosfere britanniche e mediterranee. Libero sfogo alle dita anche sul terzo movimento, mentre nella slegata ed indipendente “Fall Away”, essenzialmente più lenta e riflessiva, si permette persino di introdurre con una bordata di flamenco.

Quindi possiamo dire che questo EP segue la scia dell’ultimo album ma non ne è una copia, è di più, gli è molto simile ma è anche diverso. Permane la tendenza a frequenti concessioni acustiche ma non si limita a ripeterle, le amplia, anzi le rende protagoniste, una certa vena folk emerge in maniera decisiva, se nell’album questa si nascondeva ora si dichiara; un simile tripudio elettroacustico si era manifestato già nell’album “Believe” del 2005, è quasi inevitabile che la mente vada lì, ma in quel caso era emblema di una svolta più cupa ed alternativa, la porta verso il post-prog, ora invece è a servizio di atmosfere più ariose; siamo più o meno a una via di mezzo fra quell’album e le produzioni precedenti.

Questo in ogni caso non deve assolutamente togliere nulla al lavoro tastieristico, che è tanto protagonista quanto vario, se Barrett tesse le trame Nolan crea l’atmosfera, il mood, è lui a costruire quella volta celeste cristallina che ci sembra di scorgere ascoltando il disco. Diciamo che tastierista e chitarrista incidono davvero nella stessa misura, ognuno sotto un determinato profilo.

Poi è da elogiare l’incredibile capacità di sfruttare appieno il minutaggio proposto. Non sono uno di quelli che vede nell’EP il tipo di pubblicazione ideale, ma qua 24 minuti non sembrano davvero pochi, perché in quei 24 minuti sono stati bravissimi a dire tutto ciò che c’era da dire, è tutto breve ma esauriente, è poco ma dentro quel poco c’è tanto, e rende sazi. Esempio più lampante il secondo movimento, quanti diavolo di riff ci sono in 3 minuti e 18?!

Gran colpo davvero, si gioca tranquillamente le sue possibilità di un alto piazzamento nella classifica di fine anno. Magari non è nulla di innovativo, probabilmente abbastanza derivativo, ma se con un prodotto breve e derivativo si rischia di finire fra i top dell’anno vuol dire che si è fatto un lavoro eccelso!

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