Risuonano ancora gli echi di "Day of reckoning" e "Be forewarned": schitarrate di catrame e alcool sulla scia dei Black Sabbath. I Pentagram hanno campato di rendita con i primi due lavori, diventando una vera e propria icona cult dell'underground metallico d'oltreoceano.

Era dal 2004 che la band non si faceva più sentire con una vera release. Dal buono "Show 'em how" erano finite le tracce in studio dei Pentagram, così che gli anni che sono passati da quella uscita hanno ulteriormente fatto alzare il livello dell'attesa per quanto riguarda il nuovo cd, oltre che rinforzare quell'atmosfera di mistero e leggenda che i Pentagram si portano dietro fin dalla loro nascita nel 1971.

Poi, il 12 aprile del 2011, ha visto la luce Last rites, il settimo full lenght della loro discografia. La curiosità per il suo contenuto e soprattutto la voglia di ascoltare in che modo i Pentagram stanno invecchiando si è subito scontrata con una neanche troppo velata paura: molti hanno interpretato il titolo come un messaggio della band indirizzato ai fans. Possibile che questo sia l'ultimo album dei Pentagram? Pochi ci hanno creduto e francamente, vedendo anche come hanno tenuto duro durante tutta la loro carriera, c'è da aspettarsi all'orizzonte ancora qualche altro "rito" di sanguinoso heavy metal.

Impossibile quindi lasciarsi sfuggire l'ultimo lavoro di una delle realtà più importanti per il consolidamento e poi lo sviluppo dell'heavy metal americano, a partire fin dagli anni '70. Eppure ascoltando Last rites si può rimanere spiazzati. Ad un primo superficiale ascolto sembra di trovarci davanti ad una versione più doom e moderna dei Kyuss: la registrazione vira nettamente verso lo stoner rock. Potrebbe sembrare un male? Dopo le prime battute risulta difficile assimilare i Pentagram con il loro nuovo sound, ma gli ascolti portano l'aiuto sperato e alla fine "Last rites" risulta l'ennesima uscita positiva della loro carriera.

Bobby Liebling, nonostante tutti i problemi connessi alla sua persona negli ultimi anni, riesce ancora una volta a trascinare la band, che vede il ritorno alla sei corde anche dello storico chitarrista Victor Griffin. I quattro membri ripropongono alcuni vecchi brani della band (il capolavoro "epocale" "Call the man"), ad altri di recente stesura, come "8", fusione malinconica di stoner e doom dalla puzza fungoide. Tuffo carpiato indietro nel tempo per "Windmills and chimes", composizione dai tratti blues/hard rock su cui si erge la voce di Leibling. A ottimi brani come quelli prima citati ne seguono altri meno riusciti ma comunque apprezzabili come "Walk in the blue light" e "Nothing left", ottimi esempi del Pentagram style. Essi sono però affiancati da tracce che non convincono come "American dream" che si distingue soltanto per la feroce critica alla società americana e "Horseman", brano anonimo e privo di quella carica di pathos che ci si aspetterebbe da una band come i Pentagram.

Nonostante il passaggio alla Metal Blade avesse fatto storcere il naso a molti e nonostante le varie difficoltà di line up che hanno sempre caratterizzato il gruppo di Washington, i Pentagram sono tornati con la solita massiccia dose di heavy metal speziato da influenze doom e mai come in questo caso stoner. Non sarà l'album dell'anno, non sarà la release che li farà conoscere al grande pubblico, ma Last rites riconferma ancora una volta (se mai ce ne fosse stato bisogno), la grande carica dei Pentagram. Un'altra di quelle realtà ancora sconosciuta alla maggior parte di coloro che si definiscono "intenditori" di musica...

Voto 3 e mezzo.


1. "Treat Me Right" (2:32)
2. "Call The Man" (3:49)
3. "Into The Ground" (4:21)
4. "8" (5:02)
5. "Everything's Turning To Night" (3:18)
6. "Windmills And Chimes" (4:32)
7. "American Dream" (4:32)
8. "Walk In The Blue Light" (4:59)
9. "Horseman" (3:38)
10. "Death In 1St Person" (4:01)
11. "Nothing Left" (3:36)
12. "All Your Sins - Reprise" (0:57)

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