"Oh!" Esclamerà subito quel fan del jazz-rock-progressive-fusion o come lo vorrà chiamare lui, preso da un fremito d'eccitazione dopo aver letto il titolo della recensione. Clicca goffamente ed affannosamente su di esso, per leggere l'opinione su questo disco, che nel fantastico mondo di internet non sembra essere molto trattato.

Probabilmente i lettori di questa recensione saranno tutti fan del Perigeo alla ricerca di recensioni sui loro beniamini, altrettanto probabilmente ci saranno solo commenti entusiasti per il fatto che qualcuno ancora si ricordi della passata esistenza di questo gruppo, altrettanto probabilmente i commenti rsaranno solo complimenti sull'operato dei musicisti in questione. Per essere una prima recensione, dovrebbe essere una scelta abbastanza azzeccata; ma ora parliamo del disco e non della codardìa del recensore.

Nel 1976, il Perigeo poteva già vantare una discografia assolutamente meritevole d'ascolto, dopo appena 4 anni di attività produttiva; e se con i primi 4 lavori in studio Giovanni Tommaso (contrabbassista, bassista), Franco D'Andrea (tastiere), Tony Sidney(chitarra), Bruno Biriaco(batteria) e Claudio Fasoli (sax) avevano reso felici un po' tutti gli ascoltatori, è lecito supporre che con il quinto album li si aspettasse al varco, con quel cicinin di curiosità che attende tutti gli artisti la cui produzione gode di una certa eterogeneità ed originalità. Varco quanto più affollato, visto e considerato che con "La valle dei templi" dell'anno precedente, il gruppo aveva discretamente allargato il proprio pubblico. In quest'ambiente, nasce la quinta fatica in studio del Perigeo: "Non è poi così lontano".

Il Perigeo, nel proprio percorso musicale, ci aveva abitutato ad una certa originalità dei lavori sotto il motivo conduttore del jazz: dalle sonorità più "ignoranti" (passatemi il termine) degli inizi, alla progressiva maturità e raffinamento sonoro che aveva reso quanto più legittima la definizione di "jazz-rock" come loro genere; in quest'ultimo disco, è difficile avvertire il compimento di questa maturazione, almeno nel senso di originalità.

L'atmosfera che si sente è quella del precedente "La valle dei templi", ma ovviamente svuotata di quella freschezza e novità che lo avevano caratterizzato; le composizioni sono meno vivaci, quelle parti soffuse e nebbiose, dal sapore di jazz-pub delle opere precedenti soffrono come di "inesplosione", al confronto con quanto si era già sentito. Sia chiaro che questo discorso non è da farsi per il disco nella sua interezza: vi sono episodi come Tarlumbana, Take of, Acoustic image e New Vienna (4 su 7) assolutamente meritevoli ed in grado di nascondere quell'amaro in bocca che altri episodi lasciano. Fatto sta, però, che l'amaro c'è, si respira a tratti un'aria pesante e piatta, che il Perigeo non aveva mai lasciato prima.

In sostanza, il disco è senza dubbio da ascoltare per gli amanti del gruppo, visto e considerato che questo è anche l'ultimo lavoro del Perigeo "ufficiale" (il gruppo si scioglierà lo stesso anno; Tommaso darà vita al progetto "New Perigeo" anni dopo, ma non avrà lo stesso seguito del primo), ma se si tratta di avvicinare qualcuno alla musica di questi musicisti, è il caso di iniziare con qualcos'altro.

P.s.:Il voto sarebbe 3,5, ma arrotondo considerando anche le opere precedenti.

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