Sono qui. Accendo, per quel poco di voglia che ho, la televisione. Aspetto pazientemente di vedere uno dei programmi che preferisco, facente parte di quel qualcosa di decente trasmesso da dentro una scatola quadrata.
D'improvviso...silenzio. Le trasmissioni sono state interrotte. Con tanto di barre colorate, tendenti ad assomigliare a quelle di marca SMPTE. Eppure quelle barre, sotto forma di arcobaleno, non sono sul punto di tarare quello che viene a contatto con una pellicola cinematografica, ma sono pronte per presentare qualcosa che sembra essere molto più di un intrattenimento. Qualcosa di trascinante ed emozionante. Un viaggio interiore, dentro il mio io, ed anche dentro il mondo Pop. E non a caso si chiama "Introspective".
E' come un treno, e i macchinisti sono loro, Neil Tennant e Chris Lowe. Davanti ai miei occhi si aprono le danze grazie ad una sequenza d'archi (in mano a Richard Niles) incarnante uno dei loro singoli di punta, "Left To My Own Devices", con l'assistenza di Trevor Horn.
"I could leave you
say goodbye
or I could love you
if I tried
and I could
and left to my own devices I probably would"
Neil Tennant è meno dark di Dave Gahan, meno provocatorio del Prince di tanti anni fa, ma non è affatto inferiore ai suddetti. E' una persona da non sottovalutare, capace di riprendere molto più che egregiamente un brano già regalato agli Eight Wonder e a Patsy Kensit ("I'm Not Scared", uno spettacolo vero e proprio, tra orchestre, basi elettroniche e voci simil-guerrigliere) o di rendere più affascinante una canzone di Elvis Presley ("Always On My Mind", qui in uno scatenato medley con "In My House"), fino a dichiarare il suo essere cinofilo sotto una base elettronica affidata nientemeno che a Frankie Knuckles ("I Want A Dog").
Senza dimenticare le atmosfere latineggianti di quel singolo di punta che risponde al nome di "Domino Dancing", con un video denso di allegria e di malinconia allo stesso tempo, o quel coro un po' gospel un po' "da stadio" che accompagna la conclusiva "It's Alright".
Finisce tutto, non sento più niente. Forse era veramente uno dei programmi che preferisco quel che ho ascoltato, e non me ne sono accorto subito. Altro che interruzione di trasmissioni. Stavano continuando, in un modo diverso dal solito.
Quel programma era "Introspective". Forse il sunto di quello che i Pet Shop Boys effettivamente sono e sempre saranno. Un gruppo che resiste sempre al passare del tempo. Anche a 50 anni (ascoltare dischi come "Fundamental" o "Release" per avere la prova). "Non" giovani, ma con un talento per nulla sprecato. Quello che loro sono. "Non giovani" che fanno canzoni per tutti, grandi e non solo. E io sono uno di questi ultimi.
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