Comunque la si metta, nonostante i due “Toy Story” alle spalle, il decennio d'oro della Pixar inizia qui. La golden age che porterà alla realizzazione di opere quali “Gli Incredibili” (2004); “Ratatouille” (2007); “Wall-E” (2008); “Up” (2009”; “Toy Story 3 – La grande fuga” (2010) vede prendere il via grazie a quello che, a mio avviso, è il vero capolavoro della Pixar, “Monsters & Co.”, uscito nel 2001, tecnicamente, e narrativamente, superiore, e di molto, ai primi due “Toy Story”. Incassò 579723768 $ globalmente, di cui 290642256 $ solo in Nordamerica e mise d'accordo, caso rarissimo, pubblico e critica, tanto da vincere 1 Oscar (miglior canzone: “If I Didn't Have You”, composta da Randy Newman, finalmente vincitore dell'ambita statuetta dopo 15 nomination andate a vuoto) e perdere di un'incollatura l'Oscar al miglior film d'animazione, categoria inserita nuova di zecca quell'anno e premio finito, maldestramente, al meno convincente “Shrek” (i maligni, non senza ragione, dissero che quella categoria fu inventata quell'anno solo per permettere la premiazione dell'orco verde, produzione Dreamworks, Spielberg, capite?).

Nell'immaginario città di Mostropoli le urla dei bambini spaventati dai mostri che di soppiartto entrano, tramite una porta che conduce in un altro mondo, nelle stanze dei piccini forniscono l'energia alla centrale elettrica della suddetta città. La “Monsters Inc.” è l'azienda atta a ciò, e Sulley e Mike sono dei divi sul luogo di lavoro, soprattutto Sulley, che ha il record di urla e bimbi terrorizzati.

Dirige Pete Docter, uno dei boss della Pixar. Il quale rimuginò sull'idea di un film simile fin dal 1994, proprio durante la lavorazione del primo “Toy Story”. Se gli umani ignoravano il fatto che i giochi si potessero animare in loro assenza, perchè non inventarsi un mondo parallelo in cui i mostri vivevano e prosperavano in abbondanza senza che gli umani, il mondo parallelo appunto, ne sapessero qualcosa? Riposta l'idea nel cassetto, eccola sbucare nel 1997 durante la lavorazione dell'ottimo, e in parte dimenticato, “A Bug's Life”. Durante un pranzo di lavoro, Joe Grant, un veterano dell'animazione, già assistente Disney ai tempi di “Biancaneve e i sette nani”, e all'epoca dell'accaduto 90enne, suggerì a Docter il titolo del film, “Monsters, Inc.” (l'idea originale era il più banalotto “Monsters”). Docter si mette al lavoro e disegna, insieme al team Pixar (e dunque John Lasseter, ça va sans dire) i primi mostri, e i ricordi d'infanzia affiorano velocemente. Memore del cinema americano fantasy degli anni '50 e '60, s'inventa un mondo popolato da mostri che sarebbero potuti uscire dalla fantasia di Ray Harryhausen (chi si ricorda, ad esempio, “Gli Argonauti”, 1963, e la celebre battaglia con gli scheletri, animati dallo stesso Harryhausen?) tanto che il ristorante à la page in cui tutti i mostri di “Monsters & Co.” cenano si chiama, guarda caso, Harryhausen. Alcune idee sono, a dir poco, geniali: il padrone della fabbrica, Henry J. Waternoose III, una sorta di enorme granchio sembra uscire da una stop-motion di trent'anni prima; Celia Mae, la centralinista della “Monsters, Inc”, con un occhio solo e un collo longilineo, è un miracolo di fantasia, ma, ancora più complessa, e soprendente, è l'animazione del pelo che ricorpre il corpo di Sulley, un prodigio di tecnica computeristica in cui ogni minimo dettaglio corporeo è animato come mai, e dico mai, si era visto in un film d'animazione (fu la cosa di più difficile realizzazione, a cui lavorarono ben 30 animatori Pixar).

Nel 1999 il film è quasi completo, a livello di soggetto, manca solo una figura, colui che starà al fianco di Sulley. Ecco nascere la figura di Mike, un tondo verde con due gambe e una voce, spesso, urticante. Con l'entrata in scena di Mike si possono scrivere anche le gag dei due protagonisti, perchè, al di là della trama, il film vive sulla contrapposizione tra un mostro gigantesco e spaventoso, ma in realtà buonissimo, e un mostricciatolo minuscolo meno buono di ciò che vorrebbe sembrare. E' un film che ha molti rimandi, a volte non si sa fin quanto voluti. Sulley e Mike citano Stanlio e Ollio (difficile) o i due automi di “Guerre stellari”? (più probabile). Il gioco delle porte, che si esalta nello splendido e rocambolesco finale (che aprirebbe molte domande sull'esistenza di un'infinità di mondi paralelli, roba che il multiverso è in confronto una bazzecola) cita Borges? Certo, come si diceva, il mondo dei mostri e delle urla viene da un cinema lontano molto amato, e stimato, da Docter e dalla Pixar, e, come spesso accade in questi film, oltre all'azione, al ritmo, al divertimento, alle risate, fa sempre capolino la poesia, ed è davvero poetica l'ultima sequenza. Dura cinque secondi, alla fine è solo un sorriso di Sulley rivolto alla bimba che ha, senza volerlo, scombinato il mondo dei mostri, ma alla Pixar bastava davvero poco, direi niente, per creare un momento toccante alla fine di un film tanto divertente.

Un semi capolavoro a cui, forse, un ritmo vertiginoso a volte potrebbe essere deleterio (il finale è giusto che sia così, a volte forse sarebbe stato il caso di rallentare) ma tant'è, è un'opera talmente studiata in ogni piccolo dettaglio che si merita ampiamente (almeno, così la vedo io) il titolo di miglior film della Pixar. Peccato che, a corte di idee, nel 2013 decisero di dargli un seguito, il bruttino “Monsters University” che tecnicamente è ineccepibile e fa anche ridere, ma gli manca tutta la genialità visiva, l'ironia citazionistica, l'idea delle porte e la forza anarchica del capostipite. In pratica, si appiattisce il tutto a favore di un pubblico più piccolo. D'altronde dopo una sfilza di capolavori come quelli elencati ad inizio recensione, la Pixar le cartucce le aveva sparate tutte. Poi arrivo “Inside Out” e cambiò tutto. Menomale.

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