Pete Rock è ormai una figura leggendaria del panorama hip hop mondiale. Presente fin dai primi anni '90 con il fido compare CL Smooth, The Soul Brother ci ha regalato classici come "The Main Ingredient" e il suo "Soul Survivor", oltre ad aver prodotto pezzi da antologia per artisti del calibro di Das EFX, Nas, Black Star, KRS One, Screwball e chi più ne ha più ne metta. Nel 2001 il nostro pubblica, per l'etichetta BBE, "PeteStrumentals", un album di 14 tracce quasi interamente strumentali (il rap è presente solo in 2) che va ad arricchire la collana "The Beat Generation", un vero e proprio tributo alla figura del "producer" (ne hanno fatto parte, guarda caso, pezzi da 90 come DJ Spinna, King Britt, Jay Dee e Jazzy Jeff con i loro rispettivi e bellissimi album).

Che dire del disco in questione? Giudicarlo sembrerebbe addirittura superfluo: Pete Rock filtra il funk e il jazz dalla sua ottica, scompone e ricompone frammenti sonori a suo piacimento con la classe del pittore impressionista, ed il risultato non può non essere che magnifico. Si passa dall'orchestrale "A Little Soul" alla più scarna e ruvida "Hip Hopcrisy", dalle magnifiche composizioni di "Pete's Jazz" all'irresistibile "The Boss", che ricostruisce in maniera geniale l'omonimo brano di James Brown presente sulla colonna sonora di "Black Ceasar", fino alle due uniche tracce in cui è presente il rap (in questo caso degli UN), la stupenda "Cake" e la dura "Nothin' Lesser". Inutile aggiungere altro per un disco stupendo come "PeteStrumentals", un album che ogni amante del rap e della musica dovrebbe possedere, un caleidoscopio di suoni e sensazioni che difficilmente vi deluderà. E se il fare altezzoso del nostro sulla copertina può inibirvi, vi lascio con una citazione: "Never judge a book by the cover, discover The Soul Brother...". E penso possa bastare. Un classico.

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