Peter Gabriel fa parte di quel gruppo ristretto di artisti che tentano sempre di rinnovarsi e di non essere mai fini a sé stessi. Azzarderei un aggettivo: "Camaleonte", un appellativo che pochi meriterebbero (tra i quali anche il Duca Bianco David Bowie e il chitarrista dei King Crimson Robert Fripp). Eppure questo disco che sto per recensire, "New Blood", ha fatto storcere il naso a non pochi fan della prima ora, quelli cresciuti con le profezie apocalittiche di "Here Comes the Flood" o con i canti impegnati di "Biko". L'album però, pur rifacendosi a canzoni già pubblicate o a brani che hanno costituito importanti tappe del percorso musicale del nostro Arcangelo, risulta come qualcosa di nuovo. Il progetto musicale, basato esclusivamente su una base orchestrale che non vede la presenza di alcuno strumento tipico del rock, rende il suono oscuro ed impregnato di nero, come una specie di percorso nella quale si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriva. Inoltre si tratta di un progetto le cui fondamenta sono originali e ben ancorate al terreno, tanto da non rimpiangere alcuna chitarra elettrica, basso o batteria. 

Per questo la martellante "The Rhythm Of The Heat", che si fondava pienamente su tamburi e percussioni africane, assume un pathos diverso, mentre "Red Rain" diventa molto più forte dal punto di vista emozionale, anche se ne perde in epicità. La cara e vecchia "Don't Give Up" non ci fa molto rimpiangere Kate Bush, "San Jacinto" perde il suo intro elettronico in favore di una leggera e pacata introduzione al pianoforte, "Intruder" allieva le urla e le rende più angeliche e meno aggressive. Un nuovo sangue (se vogliamo riprendere il titolo dell'opera) scorre leggiadro tra una canzone ed un'altra, quasi fosse un fiume ricco di nuove emozioni, di novità, di una veste che ci risulta più difficile da assemblare e da far indossare a Peter (che quasi quarant'anni fa faceva sgorgare la sua espressiva e calda voce sulle note di suite progressive come "Supper's Ready" o "The Cinema Show") ma che man mano vediamo assottigliarsi fino a che tutto ci risulta com'è, ovvero stupendamente magico e sorprendente.

E così, inserendo il CD (o facendo girare l'LP per i nostalgici amanti del vinile), che presenta una copertina nera al cui centro vi è un fulcro verde che emette un fascio di luce azzurro, ci ritroveremo per "un momento quieto", tra cinguettii di uccelli e rumori di piante ed alberi, lì proprio dove tutto cominciò, sulla "Solsbury Hill" che tanto abbiamo amato e che ci sembra così vicina nel tempo, quel brano con cui Gabriel si congedò dai Genesis e diede vita alla sua carriera solista che, a distanza di sei lustri, ancora ci stupisce.

Bravo Peter, ancora una volta hai fatto centro

Carico i commenti...  con calma