"Credi che diano un film di Fellini sull'aereo?" Non penso che Peter omaggia Federico ma prende spunto dalla querelle sollevata dal romagnolo sul mancamento sistematico di anelare al matrimonio alchemico con prove azzardate di comunicazione dei due sessi che il più delle volte allontanano invece di avvicinare.
Colgo un mettere i puntini sulle i della nuvola onanistica che prima o poi ammala tutti i registi, tutti meno Marco Ferreri e il codesto gallese che prende l'asessualità angelica del flusso cabalistico felliniano come sponda per un revisionismo della libido.
"Quanti registi fanno film per soddisfare le loro fantasie sessuali? Immagino la maggior parte", in un dialogo tra padre e figlio. È qui che casca l'asino, nella pipparolità che illustri cineasti "nel mezzo del cammino della loro vita" non vedono l'ora di mostrare. E tutta l'estetica, i voli pindarici artistici, il mistero, la magnificenza del cogliere le profondità dell'animo umano si sbracano in un irrefrenabile impulso "sporcaccione" esibizionista vestito con l'impermeabile beige.
È chiaro che l'uomo di Newport non pensa questo confronto, si vede che si fa i cazzi suoi, è noi che collegando i puntini di comparazioni copulative ci accorgiamo del deragliamento "I dream fellatio" degli smascherati "maestri" della cinematografia: l'inciampamento barzotto è eclatante per esempio in Kubrick quando non vede l'ora di mostrare il culo secco della Kidman orge comprese, nella scena lesbica di Mulholland Drive dove Lynch lo si vede proprio che spia dal buco della serratura, nei ferri ginecologici alieni di Cronenberg su Inseparabili, e così via. L'impotenza fa brutti scherzi e non si cura con un "e faccela vede', e faccela tocca'..."
Greenaway non è reverenziale, è uno che scatena frizioni da testa di cazzo del Dharma. Anche se sono belle supposte evolve la psiche collettiva e non propone niente di consolatorio e bonario. Non si richiedono assoluzioni, si abbraccia l'inevitabilità del nostro stato di possessione che ci fa stare a cazzo dritto (qualche volta) e culo pronto (sempre). Insomma finalmente qualcuno che si prende le proprie responsabilità spiattellando, senza becero fair play, sessismo, machismo, invidia del pene, razzismo, violenza, classismo, menefreghismo e un sapore di mancata coscienza che onestamente (e spietatamente) fa vedere la miseria di una corsa al "si salvi chi può" dell'umanità dove lo sfracelo è, a questo punto, inevitabile.
Greenaway propone un voyeurismo nolente, un voyeurismo assente, un voyeurismo impersonale, un voyeurismo depistante il vizio del voyeurismo, un voyeurismo che getta nuove basi per una decadenza che non sia solo desiderare di avere due costole in meno per tirarsi i bocchini da solo. Qui c'è la conquista della constatazione del voyeurismo e l'attuazione delle contromisure per contrastare sullo stesso campo questa possessione.
Il nudo (e derivati) di Greenaway è un nudo senza malizia, un nudo che non è imbellettato di maniacità per poi poterlo vendere sul mercato dei desideri terreni. Qui non si vende niente, si fanno esperimenti per dimostrare che si scopre l'acqua calda di perversioni da quattro soldi scandite dal limite dei buchi deflorabili. La fantomatica rappresentazione di desideri sessuali consumati a piacimento non tenta, tanto da risolvere il girotondo finale della pellicola italiana dove monda quell'eiaculazione precoce col rinunciare a venire, viaggi nel tempo a bordo di spermatozoi implosi.
Ma la cinicità di Greenaway suggerisce che l'unica via da seguire è la misericordia di Fellini che smaschera attraverso la compassione la robotica ossessione del sessuale. Nell'harem felliniano di una 1/2 ricerca di un accesso a piacimento al vaginale non c'è ingrifamento animale. E così il regista d'oltremanica "gioca" nell'indurre in tentazione ognuno di noi esibendo un ventaglio di "spose" che soddisfano desideri carnali che ipnotizzano lo psichico deviato di tutti. Ve piacerebbe eh? Ma c'è sempre un prezzo da pagare e quando ci sono di mezzo le donne il prezzo è sempre alto, le donne vogliono il sangue...
E tale figlio tale padre il dipanarsi della vicenda alza l'asticella della sopportazione e chi non è allenato al gioco pesante ha pietà della carne umana e i vermi se lo mangiano. E qui c'è il Peter giusto, non il Pan, e la sua "verde via" è una strada piena di crocicchi dove nulla può essere lasciato al caso e l'estraniamento prodotto si dovrebbe affrontare con una scafata scorza millenaria. Senza questa cotta di metallo secolare saremmo esposti a fraintendimenti e rifiuti dovuti alle maglie ancora non serrate che ci colabrodano inevitabili rovesci. Ma se avessimo la bontà di avere un robusto salvavita che non scatta ad un minimo cortocircuito, il deragliamento proposto dalle sfere del pachinko è logico nella sua assurdità.
E se Fellini sul suo 8 e mezzo cercava di incanalare l'assurdità di una logica delle donne piegandola ad un consumo logico maschile, Greenaway constata che l'orologio per dare l'ora esatta, tanto per rimanere in ambito svizzero, abbisogna che la molla (il maschile) e l'àncora (il femminile) lavorino sulla stessa frequenza del fifty-fifty divino e non cerca né di spiegare, né di convincere nessuno. Si affida alla natura delle cose per gli aggiustamenti definitivi e l'incastro non è forzato, tutti i pezzi vanno al loro posto come devono andare, come tutto accade.
Ed ecco lì che il regista non considera il sesso come ossessione ma come conseguenza e nella rappresentazione assente del filmare palesa ludica purezza dell'atto che annulla desideri personali. Tantrico nel suo far sparire l'appiglio col soggetto bramato, non ammicca con lo spettatore voglie riproduttive e annullando il richiamo della specie suggerisce una ritenzione seminale che apre a visioni di zone normalmente invisibili coinvolgendo gli spermatozoi ad una corsa a ritroso dall'ovulo per far capire che tutta questa frenesia riproduttiva nutre quell'ego che non ci appartiene, che non siamo noi, scardinando l'anelito capriccioso all'eterna giovinezza.
E questa purezza cinica e spietata tra l'incontro dell'uomo e la donna, questa ascesi assente, produce un orgasmo secco che cancella la funzionalità del veicolo biologico e momentaneamente lo sottrae al vampirismo degli astri e delle possessioni. Non si dà funzione alle persone. E quando appare la considerazione dell'amore appare immediatamente anche la morte. E tutto galleggia in un'aria che non è indotta, sfido che non ci si ritrova, c'è il viaggio a ritroso nella nostra androginia originaria. Ma è questo il regalo più grande, un estraniamento socratico del "continuo a non capire un cazzo" condito con uno squirting psichico che sciacqua ying e yang prestabiliti dal sistema.
La speranza di un trogloditismo del ficca-ficca da parte degli altri registi è superato da Peter dal mostrare sì le fiche bagnate ma di una broda astrale, un richiamo al divino che l'atto creativo impone aprendo ad una coscienza che chiama dall'aldilà e ci imperla di oggettività trasformandoci in tramiti trascendenti.
E il gioco del cazzo duro a tutti i costi dura quel tanto che dura l'illusione, illusione di cercare di farsi masturbare financo il cazzo dell'anima, che segna il naufragio completo. Questa speranza da parte dell'universo maschile di imbattersi prima o poi in una fica orizzontale, completa la falla di una barca che affoga nel suo stesso sperma.
E con tutti i culi, chiappe, glutei a disposizione si finisce nel desiderare le rotondità posteriori del maiale Ortens, e un macellaio mi ricordava che i suini hanno la conformazione più vicina all'uomo. Si continua nel fallimento di non sopportare la felicità.
E con queste donne e mezzo Greenaway secondo la critica "partorisce un’opera obrobriosa e al limite del ridicolo, totalmente sconclusionata e che gli costa la sonora irritazione dei suoi affezionati", dove però risolve il problema del proselitismo del suo cinema sgamando i seguaci anch'essi sempre pronti con la mano che scivola in zona basso ventre e epurando l'equivoco di una vocazione segaiola che a lui non appartiene.
In una scena del film si parla esplicitamente di quei cliché sessuali spinti, compreso bondage, dove la cameriera che li offre viene respinta all'audizione. Si cercano ombre di piaceri ormai, proiettati poi in terra elvetica, e quale posto migliore se non lo stato banca del VaticANO? La paraculaggine de "ambasciator non porta pena" di cui si investe la Svizzera.
Vista la pressoché assenza di sottofondi musicali, la trasferta nipponica fa da colonna sonora col frastuono delle flipper-slot, col ronzio dei televisori che trasmettono combattimenti di Sumo, col picchettare dei sandali di legno degli attori del Kabuki, col boato dei terremoti. E quei sismi importati a Ginevra mettono una croce sopra alla sofferenza di "come quando ride di te una persona amata".
"Mi piace dormire, tu sei stato concepito in questo letto. Allora in quel momento non dormivi. Forse dormiva tua madre..." (dialogo tra Emmenthal padre e figlio).
"È da allora che ho voglia di fargli un pompino" (Palmira parlando del padre con Storey).
Il vecchio Emmenthal spiega i vicini austriaci: "Ho sempre avuto grossi problemi con gli austriaci, un popolo negativo, musicale, bigotto, rigido, autoritario. Insistono sempre che le loro pattumiere sono pulitissime".
Simato, Griselda, Beryl, Gioconda, Palmira, Mio, Kito, Giulietta, Clothilde: non avrai altro 8 & 1/2 all'infuori di esse!
"Questo narcisismo comincia a essere piuttosto noioso, non è vero?"
Facciamo tutti le tre scimmie please: "All to myself Alone".
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