Ci sono delle opere di artisti che all'approccio si rivelano subito ostiche e di non facile presa. Nel caso di Hammill questa è sovente la norma ma nell'episodio di "Incoherence" lo è ancora di più e più si ascolta il cd e più gli strati di comprensione aumentano e più aumentano anche le difficoltà a districarsi fra le spirali tortuose che s'inerpicano in questo magma mai come in questo caso così intrecciato come radici di alberi secolari fra musica, testi, tappeti sonori.

La chiave di volta che mi si è aperta come un'illuminazione per addentrarmi in questo labirinto è stata quella di raffrontarmi ad un'altra opera di dimensioni cosi' complesse: la ''Flight'' di ''Black Box'' e mi sono detto che questo disco di ''Incoherence'' era proprio la ''Flight'' di questi anni del 2000 e dove li' a me sembrava che Hammill s'inerpicasse come a sfidare le barriere della fisica per lanciarsi come in un volo libero, individuale e solitario verso il metafisico, qui mi sembra come una specie di processo inverso come a voler cercare una specie di sovrumano sforzo per riuscire verso una comunicabilità della parola ai limiti del praticabile senza darne peraltro scontata la certezza della riuscita. Ma come c'insegna l'alto ingegno umano, non è quello di svelarci risposte agli arcani misteri, il fine di certe opere dirette, sincere e semplici pur nella loro complessità ma casomai di suscitare mille interrogativi che non troveranno mai soluzioni ruffiane e ciarlatane gettate giusto per rincuorare i cuori e le menti.

Quello che a Peter riesce ottimamente però è di creare una colonna sonora perfetta del caos babelico del linguaggio umano dove il sound è veramente potente e innovativo, che erompe come un magma compatto e saldamente uniforme, mai approssimativo, fra i flussi ora impetuosi ora piu' quieti e dove nessun strumento primeggia e se anche il drumimng e' completamente assente eppure in certi momenti concitati non se ne avverte assolutamente la mancanza. Disco strano in effetti anche per questo, quando Peter ha quasi sempre avuto l'apporto della batteria sia come presenza fisica del batterista che nell'aiuto elettronico ma qui essa e' totalmemte assente ma il bello è che non è un disco 'quiet' come piace definire certe atmosfere a Peter e anzi è veramente contorto e i fraseggi di piano, violino (Stuart Gordon), sax(David Jaxon), tastiere varie, creano un'atmosfera unica e irripetibile anche per lo stesso scenario hammilliano. Diciamo che puo' dirsi come un a metà strada fra il sound Vdgg e l'Hammill solista ma poi alla fine e' veramente qualcosa che sta a se' e che si ascolta tutto in blocco come un sospiro caotico dall'inizio alla fine e da dove e' anche difficile riuscire ad estrapolare un qualche brano per un ascolto random...no!

E' un disco che deve essere ascoltato interamente tutto insieme come se si bevesse un bel bicchiere di vino rosso bello tosto dalle sfumature violacee, intense, leggermente vanigliato ma di corpo secco, denso, asciutto ma che alla fine ti lascia in bocca un bel sapore dolce e potente, estatico ed inebriante.

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