Shhh! Parlo piano perché la mia anima si è sopita. Lei non mi permetterebbe di parlare di questo disco. L'anima mia non solo non vuole che io ne parli, non vuole nemmeno che lo ascolti. Lei quando lo sento e quando ne parlo, ne soffre, ha quasi dolore. Troppi ricordi, troppe malinconie, troppe affezioni e troppi sentimenti, sono legati a questo disco e sono ricordi che hanno un preciso nome, un preciso volto, per questo fanno male. Finché lei dorme ho quel po' di distacco e di cinismo, che mi consentiranno di parlarne.

Tra l'altro, per il disco, questo è l'approccio più corretto e riverente. E' giusto che vada trattato con guanti di velluto: la sua potenza e intrinseca alla sua delicatezza, è forte perché raccontato in punta di dita e riesce ad arrivare al fondo perché la sua verità, pur inequivocabile, è appena sussurrata.

Hammill narra di Alice, che ovviamente non è quella di Carroll, ma in quel gioco di specchi a cui l'autore è avvezzo, ci sono parallelismi in cui tutto può rientrare. Alice (La Rossa) se n'è andata, dopo sette anni e quel che resta è solo il poterne parlare, liberamente, intensamente, senza metafore, senza bugie, parola per parola quello che è accaduto e quello che l'anima ha bisogno di espellere "Alice (Letting Go)", talvolta anche come se nulla fosse accaduto e la vecchiaia, con i figli fuori casa fosse una realtà che il futuro vedrà, tristemente realizzata "Autumn".

Musicalmente il lavoro è più accessibile e diretto di quanto precedentemente prodotto, specie se pensiamo che il precedente album "Nadir's Big Change" è visto da molti come l'origine (musicale) del punk. Lo spirito dell'Hammill più intimista e melodrammatico è spesso trasportato dalla sola chitarra o dal solo pianoforte, ma sono presenti anche momenti di gruppo o più orchestrali, proprio perché la melanconia e un violino straziato sanno andare d'accordo come pochi.

La voce di Hammill raggiunge momenti di intensità ineguagliabili, riesce a farci calare negli abissi più profondi della sua spiritualità e a farci soffrire con lui, commuovendoci della sua stessa commozione.

L'apice del disco e forse dell'intera vita musicale, dell'espressività tematica, della capacità comunicativa e della forza interiore di Hammill è "(This Side Of) The Looking Glass", non c'è compendio pari a questo, nulla è così saturante, ammaliante e sgorgante di dramma. Il dramma amoroso, della solitudine nella mancanza di chi troppo si è amato. Dove il troppo diventa male e il male diventa sofferenza e la sofferenza rimane l'unico baluardo d'ancoraggio per chi resta da questa parte dello specchio, dopo che Alice ha trovato il passaggio per andare oltre, senza lasciare modo di trattenerla.

"Sono perso, sono zittito, sono cieco - sono ubriaco di tristezza, annegato dalla follia - l'onda mi sommerge, lo specchio mi respinge - l'eco della tua risata attraversa lo specchio - ed io sono solo - nessuna amicizia, nessun conforto, nessun futuro, nessuna casa - il passato si blocca in me."

Ogni umore è straordinariamente palpabile, la tragedia prende forma, per dirci quanto sia al contempo facile e difficile esporsi, anche quando ogni nervo è scoperto e quindi fragile.

La chiusura con "Lost And Found" lascia uno spiraglio. Ovviamente tra gli oggetti smarriti è lo stesso Hammill, forse potrà essere ritrovato, o magari preso da qualcun'altra.

"Metti il tuo vestito rosso bambina, perché si va fuori - metti le tue scarpe con il tacco alto, questa sera ogni cosa potrà andare bene?"

Il disco di Hammill più aspro e tormentato. Un disco per certi momenti, di quei momenti che non tutti possono permettersi.

Zitti, l'anima mia si sta per svegliare, è meglio ch'io chiuda qui.

(Peter Hammill - Over - Aprile 1976) Sioulette

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