Anni 50, chissà esattamente dove, chissà esattamente quando....

Mangiafuoco, bimbetto dal ghigno precoce, assiste, durante la festa della scuola, all'esibizione di un compagno che canta “Great ball of fire” di Jerry Lee Lewis.

Oh, stupore degli occhi e di tutto quello che può stupirsi...

Ma non solo...

Che quel che accade è anche uno strano fenomeno corporeo, visto che il nostro, in uno strano e sincopato frame by frame, comincia a muoversi a scatti,...

Del resto, se persino le cowgirls han la malinconia, a volte i bimbi che non meritano la dolce Euchessina si trasformano in tacchini del rock'n'roll.

Ma perché poi, Mangiafuoco? Il nostro piccolo essere ghignante è ben lontano dal somigliare a un orchetto barbudos, anzi...

E' un tipo filiforme, segaligno, emaciato.

E quel ghigno, quel ghigno che non lo abbandonerà mai, non è altro che una smorfia ritrosa e atrocemente femminea stampatagli in faccia da chissà quale zia Gwendaline o Rosemary.

Poi, ok, manco si chiama Mangiafuoco, son io che lo chiamo così. E, tra l'altro, non dovrei nemmeno parlarne, perlomeno non così estesamente.

Solo che...

Solo che il nostro compare, anche se solo per un attimo, nelle prime pagine di questo libro.

E lo fa nelle vesti del grande burattinaio, o forse di una volpe, ovvero di colui/colei che vi attira, vi invischia, vi chiama alle armi,

Insomma il più splendente fiore per l'ape o, per rimanere in ambito insettistico, la lumera dove sempre finisce il parpaglione....

E allora vediamolo quell'attimo che sarebbe solo un attimo se non fosse molto di più, talmente di più che mi sa nemmeno ci crederete.

Dobbiamo però fare un salto di una ventina d'anni...

E quindi...

Manchester, 1976...

Mangiafuoco è fuori dal locale.

Tutto vestito di pelle nera, un'assurda capigliatura rossiccia lo fa sembrare una assurda specie di volpe.

Del resto è li per adescare più Pinocchi che può.

Certo, manca il gatto che poi è una gattina, o forse una strega, però (come dire?) può cavarsela benissimo da solo.

Si Si Si...

Sarà per via del suo strano sorriso, che è poi quello di uno Stan Laurel diventato chissà come cattivo.

Oppure di quel buffo e antico muoversi a scatti che, come sappiamo, lo apparenta al più torvo dei gallinacei.

Che poi, a ben pensarci, come può Mangiafuoco sembrare una volpe e come può una volpe sembrare un tacchino? Beh signori, la risposta è semplice, Mangiafuoco è un manager. E i manager ne sanno una più del diavolo.

A chi sarebbe venuto in mente, del resto, di prendere quattro balordi e farne un gruppo rock? A chi se non a uno che vuol fare montagne di soldi col caos?

Caos primigenio (Jerry Lee Lewis) e caos dell'intelligenza (Debord). Del primo si occuperanno quei quattro balordi, lui invece si occuperà del secondo.

Indicando, non proprio una faccenda di poco conto, come e quando colpire.

Chissà se conosce la storia di quel pugile che, quasi accecato dai colpi dell'avversario, non vedeva più un solo avversario, ma tre.

Fu l'allenatore a toglierlo dai guai, dandogli, in un lampo di verità/saggezza, l'unico consiglio possibile, ovvero “se ne vedi tre colpisci quello in mezzo”.

Ma torniamo all'inizio...

Anche se non prima di aver detto che al burattinaio volpe tacchino il caos interessava quanto e forse più dei soldi, anche se questa è solo my opinion...

Manchester. 1976...

Mangiafuoco è fuori dal locale ed è li per vendere i biglietti...

Arrivano, Bernard e Peter, due che come Pinocchi sono assolutamente perfetti e, nel vedere quello strano figuro, ci rimangon secchi.

“Deve essere una specie di punk!!!”, pensano.

Si avvicinano e sentono come un vento gelido, ma nemmeno han tempo di farci caso visto che in un attimo son già dentro il locale dove altri 40/50 Pinocchi sono in attesa.

Si comincia e il gruppo di supporto non è un granché...

Poi entrano i quattro di Mangiafuoco e sbam!!!!

Sbam!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Bernard e Peter vedono la luce.

Non tanto per la musica, una sorta di rumore indistinto. Ma per quel cazzo di cantante.

“Sogghignava e ti ringhiava in faccia, ti guardava come se odiasse essere li”

E allora Peter pensa: posso farlo anch'io/voglio farlo/cazzo, ho bisogno di farlo....

Il giorno dopo compra un basso. Bernard la chitarra già ce l'ha.

Si punkizzano più che possono e cercano un cantante che faccia schifo, ma schifo nel modo giusto. Tutti i candidati, però, fanno schifo e basta.

Poi succede che, al secondo concerto dei ragazzi di Mangiafuoco, incontrano Ian. E Ian indossa una giacca con scritto HATE sulla schiena.

Sbam!!!!

Sbam per la seconda volta...

Che se Bernard e Peter (Peter soprattutto) sono due cazzoncelli. Ian no. Ian è mister cortesia. Con modi quasi d'altri tempi. Poi è pure sposato.

Ma è tutta apparenza. Si vede dagli occhi spenti accesi, accesi spenti.

A casa ha tre cartellette: una per i racconti, una per le poesie, una per non mi ricordo cosa. E il suo stile di scrittura è esattamente come i suoi occhi.

Arruolato quindi: voce, testi e addirittura leadership.

E' lui a trovare la prima ragione sociale, “Warsaw”, chiaro omaggio al Bowie di “Low”. E da lui arrivano tutte le suggestioni che da subito portano il gruppo oltre il punk. Anche se, punk o non punk, sono comunque grezzi, potenti, ossessivi...

Solo che poi arriva Martin.

E Martin, sorta di favoloso trait d'union tra Merlino e Phil Spector, è uno stregone che parla per enigmi. Un produttore che odia i musicisti.

La sua mente musicale, avvolta da un cespuglio di capelli e sempre immersa in una nuvola di fumo, concepisce il suono come un luogo quintessenziale.

Che lui è uno che il suono mica lo sente soltanto, lo vede, lo vede cazzo!!! Per via di quelle nuvole di fumo, certo, ma anche perché è fuorissimo di suo.

Allora passa le notti a costruirlo, a decostruirlo, come un architetto in preda ai suoi palazzi di vetro.

Che il suono è un palazzo di vetro, anzi il palazzo di vetro è dove quel suono si deve sentire, che poi forse ancor meglio sarebbe un capannone industriale di quella Manchester oscena, grigia, diroccata, inquinata, sporca,.

Il suono è un fantasma, uno spirito, una cazzo di cosa aerea, gassosa, sublime, eterea che illuminerà lo sfacelo, il suono catturerà lo spazio, lo purificherà, sarà l'altrove del qui, il qui dell'altrove.

Allora quello che architetta è un folle lavoro di bonifica di quel gorgo/palude che quei cazzoni di musicisti gli presentano.

Incide, sovraincide, registra la batteria un tamburo alla volta, lavora per evitare il più possibile la dispersione del suono dei singoli strumenti da un canale all'altro.

Quel che cerca è una nitidezza impossibile.

Ci va vicino però, visto che tutto entra ed esce da una sorta di camera di decantazione che restituisce una musica così essenziale ed echeggiante che sembra di sentire soltanto il respiro e il battito di una macchina umana in lontananza.

A ciò si aggiunga il lavoro sulla voce di Ian non più in preda all'urlo punk, ma impostata su un registro basso e sepolcrale che con quella musica è un tutt'uno.

Sentite Peter: “Per farle rimanere fantastiche per sempre Martin ha preso le nostre canzoni e le ha messe dentro delle piccole capsule”.

Perfetto, non si può dir meglio. Ma il suo è un giudizio a posteriori, che in diretta, mentre tutto questo accadeva, lui e Bernard erano piuttosto incazzati...

“Che cazzo hai fatto alla nostra musica, Martin? Gli ha tolto il midollo poi gli ha strappato le palle”

Fantastico, no? Che sembra di sentire le parole dei classic rockers dell'epoca, che dire che erano esterefatti è dir poco. Ma anche, girandola in positivo, la più perfetta definizione non dico della new wave tutta, ma quasi.

Ecco questo è l'inizio della storia dei Joy Division...

Peter Hook la racconta assai bene, senza prendersi troppo sul serio. Ovviamente parla anche molto di Ian (il suicidio, il senso di colpa) ma lo fa evitando quei ridicoli toni romantici che piacciono tanto a noi fans...

Di Ian poi abbiam parlato tutti troppo, me compreso visto che ho scritto due rece sui Joy Division che sono un continuo Ian qua, Ian la..

Allora questa volta ho parlato d'altro...

Il libro è bello...

Trallallà...

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