Accade molto spesso.
La canzone è bella, probabilmente
(four)
celeberrima, sicuramente iconica; ma l'artista non se lo caga nessuno, a mala pena si
(three)
sa chi sia. Succede; soprattutto se il pezzo in questione, a un tempo solo, richiama
(two)
un classico immortale fin nel titolo ed è presente praticamente in ogni
(one)
trasposizione su schermo del periodo in cui uscì.
(Earth below us drifting, falling)
La scoprì tempo fa in una bella serie sulla guerra fredda, e l'ho adorata; poi, la mente sempre impegnata in altro, poco tempo per la musica, è finita in un angolo della testa, quello adibito a ripostiglio.
Improvvisamente - la spia bionda, il muro, la vasca di ghiaccio, Berlino - è ricomparsa, in tutto il suo splendore.
Major Tom.
Peter Schilling.
Carriera lunga, sintetizzabile nel più classico degli un-colpo-e-via, quella di questo cantautore tedesco occidentale, classe 1956, anno dei giochi olimpici invernali, di sconvolgimenti, di tragedie, e del primo Eurofestival. Il grande successo arriva presto, col primo album - Fehler im System, 1982 - che, appunto, contiene quello che sarebbe diventato l'unico successo internazionale del nostro, Major Tom (Völig losgelöst), disco d'oro e ventitré settimane al primo posto in patria. Immediata è la traduzione in inglese, del brano e dell'album tutto: Error in the System esce l'ano successivo, il singolo - ribattezzato Major Tom (Coming Home) - arriva al quattordicesimo posto negli Stati Uniti d'America.
L'ispirazione tematica del singolo è evidente: il maggiore Tom è lo stesso di Space Oddity, è l'immortale personaggio che guardava il pianeta Terra color blu - non c'è niente che possa fare più - nel primo grande successo di David Bowie. Sebbene il brano di Schilling riempia di sincopata vitalità anni ottanta quel che Bowie e Rick Wakeman lasciarono volutamente sospeso in uno spazio vuoto e spaventoso di mellotron, il respiro tragico dei due brani è lo stesso: non cambia - più di dieci anni dopo - la paura per le sorti del mondo, esplicate dall'astronauta perso nel vuoto, vittima sacrificale dell'angoscioso conflitto silente che laggiù, su quel puntino blu pallido, spaventa entrambi i lati della cortina di ferro. La differenza sta nella rassegnazione di Bowie che, sopravvivendo al devastante lutto dei Dik Dik di Help me, diventa ora furente voglia di tornare a casa.
This is my home. I'm coming home.
Il resto dell'album è una piacevole serie di pezzi più o meno belli, più o meno memorabili, peraltro con una formazione cambiata rispetto a quella del piatto forte (Gunther Gebauer basso, Gonzo Bishop tastiere, Curt Cress batteria), con l'eccezione del chitarrista Armin Sabol, che è pure coautore di alcuni dei brani. Per il - diciamo così - resto dell'album i musicisti sono invece Rolk Kersting (basso), Frank Hieber (tastiere) e Dicky Tarrach (batteria).
Senza dilungarmi troppo, ... Dann trügt der schein è una pacata nenia con un bel basso, mentre Fast alles konstruiert è un lungo reggae (genere che, si sa, è esaltato dalla morbida lingua teutonica) - in realtà, scherzi a parte, è un pezzo decisamente ascoltabile. La successiva Die Wüste Lebt è una nervosa cantilena sintetica introdotta da squarci apocalittici che lasciano immaginare tutt'altro (che so, tipo Battiato che canta Magic Shop dopo mezzo minuto di Pollution); solo per questo brano, il batterista è Mickie Stickdorn.
Chiude il primo lato - come si è capito e nonostante le citazioni, sto parlando della versione originale dell'album - la canzone che dà il titolo all'intera opera; Fehler im System è un inquietante ballata, sospesa tra la sigla di un manga e le atmosfere da lounge bar pretenzioso; molto melodico il ritornello che, da un momento all'altro, sembra quasi debba fondere le sonorità con, che so, quella che, anni dopo, sarebbe stata Pure Shores delle All Saints (e, soprattutto, la pubblicità dei Pan di stelle). Una canzone spigolosa, ma tutto sommato bella.
Floating weightless, calling, calling home.
All'inizio del lato B il buon Schilling ha piazzato proprio il suo capolavoro. Major Tom (Völlig losgelöst), al primo ascolto, sembra quasi una versione prototipale di quella che poi avrebbe reso famoso il cantante di Stoccarda, sicuramente più rifinita; la canzone e le sue atmosfere, in ogni caso, sono le stesse e il finale è ugualmente di un'intensità straziante - uno dei più belli della musica tutta. Segue poi, sorpresa!, un'oscura Major Tom - che infatti, per agevolare future eventuali ricerche sul tubo (non è vero: non si trova), nella versione inglese è stata ribattezzata Major Tom, part II - che riprende le atmosfere disarmanti e sconfinate dello spazio aperto - e le ansie e paure dell'album e della guerra fredda stessa.
U.S.A. è un allegra cantilena, arrangiamento da sigla dei puffi e simpatico assolo interrotto di chitarra; la traduzione inglese della canzone non dissimula un certo intento parodistico ("Come ama la vita che conduco, non posso pensare, né leggere; guardo i nostri valori che si allontano, giocoo al gioco degli Stati Uniti."). Veloce e fresca, forse un po' stucchevole, è anche Ich hab' keine Lust (bello il basso, molto anni ottanta tastiere e batteria), mentre chiude l'album un pezzo veramente innovativo e visceralmente legato alle sue atmosfere new wave e synthpop: sto parlando di Astro del ciel. (In realtà: Stille Nacht, heilige Nacht, sfigurata e resa irriconoscibile, diventa una sorta di dialogo tra Peter Schilling e la sua sezione ritimica, a toccare temi non molto natalizi, a dire il vero: del resto, bombe, ubriachi e paura erano la costante di quegli anni.)
"Notte silenziosa, notte santa, anche oggi siamo custoditi; perché nessuno si fida dell'altro e, invece di costruire fiducia, tracciamo confini."
Che rimane, oggi, di questo album? Probabilmente davvero una sola canzone.
Ma tanto basta.
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