Sarà che noi italiani dell'Australia conosciamo solo canguri e koala, e che il massimo esponente di quella Nazione, secondo molti, è Christian Vieri. Ecco, sarà per questo che quando ci hanno raccontato che Peter Weir era australiano abbiamo fatto un po' fatica ad incassare il colpo. Perché il Vecchio Continente (e l'Italia soprattutto) non è mai riuscita a capire come un tizio nato e cresciuto nel paese dei canguri e dei koala sia riuscito ad arrivare ad Hollywood e girare una manciata di bellissimi film diventati con gli anni dei cult (il successo clamoroso dell' "Attimo Fuggente", per molti, resta ancora un mistero).
Australiano, è anche Mel Gibson. Di Gibson potrei scrivere mille parole, ma il succo è semplice: profeta in patria, nullità all'estero. Bravissimo a recitare dentro i confini australiani, incapace ad Hollywood, dove però è esaltato come una star. Ma dal legnoso poliziotto casinaro di "Arma letale" alle barbarie sadiche di "Apocalypto" Gibson ha collezionato solo una serie di enormi successi commerciali (buon per lui) che si dimostreranno (alcuni in realtà hanno già mostrato la corda) pessimi lavori da un punto di vista strettamente artistico. La gloria ed il successo ottenuto da un filmaccio grondante banalità e retorica come "Braveheart" ancora oggi gridano vendetta.
Sarà dunque per via della naturale casualità del fato che Peter Weir (australiano) è stato l'unico regista in grado di valorizzare compiutamente quel pezzo di legno di Mel Gibson (australiano). Secondo critici autorevoli e riviste specializzate, il loro film migliore sarebbe "Un anno vissuto pericolosamente". Bel film, ma dissento. Il loro film migliore (parere personale) è "Gli anni spezzati" (1981), interessante pellicola girata interamente in Usa (le logiche di mercato però ancora erano lontane da venire).
Questo piccolo film, gira pochissimo in televisione, non so se esista in Vhs o Dvd, e quindi vedete un po' voi come recuperarlo (ma è ovvio che su Internet si trovi). Si tratta di uno sfiziosissimo film di guerra con implicazioni psicologiche tendenti alla filosofia più spicciola. In pratica, due amici, dediti al più dilettantistico atletismo, vengono spediti senza troppi giri di parole a combattere a Gallipoli durante la prima guerra mondiale. Uno sopravviverà, uno morirà dopo aver preso parte ad una futile azione di guerra.
Capisco che detta così la trama non sia delle più originali (se c'è un difetto è la sceneggiatura. David Williamson non ha fatto proprio un eccellente lavoro, ma poco importa), eppure ci sono almeno cinque motivi per recuperare questo gioiellino. Uno: più che la guerra il film si concentra sul rapporto di amicizia dei due giovani, belli atletici, sorridenti, fotografati qualche secondo prima di entrare nel mondo degli adulti (una sorta di "American Graffiti" senza belle ragazze e macchine lussuose); Due: Mel Gibson non sarà mai più così espressivo, capace di passare dalla gioia alla disperazione con una naturalezza per lui insolita; Tre: la regia di Peter Weir sembra più quella pulita, lucida e distesa di "Picnic ad Hanging Rock" che quella un po' più furba e moraleggiante dell' "Attimo fuggente"; Quattro: parla un po' anche di noi, della nostra storia, della città di Gallipoli e di come si viveva in quel periodo, per carità, non un saggio storico, ma un bello spaccato di storia europea vista con gli occhi di un australiano appena giunto in America (non robetta, se vogliamo dirla tutta!); Cinque: la sequenza finale. Solo quella basterebbe per tessere le lodi dell'intero film. La morte del soldato australiano è da antologia: rapida sequenza di immagini montate a velocità supersonica, conclusione su un fotogramma fisso con tanto di citazione (la citazione è quella di una famosa foto di Robert Capa).
Le psicologie dei personaggi sono delineate in maniera eccellente, brevi accenni di filosofia compaiono qua e là specie nell'uso che Weir fa dello spazio e del tempo (le aristoteliche tre unità). Non tutto fila via liscio, qualche volte ci si ingarbuglia un po', ma alla fine si rimane abbondantemente soddisfatti. Weir si ripeterà ancora a questi livelli, Gibson mai più. Il perché è molto semplice: uno era un talentuoso, l'altro solo un fortunato attore in cerca di gloria. Indovinate un po' chi dei due era il talentuoso?
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