"E vidi

che qualcosa si muoveva tra i morti

Era una bimba

La portai fuori sulla strada

e chiesi

Chi sei

Da quando sei qui

Non lo so

disse

Come mai sei qui in mezzo ai morti

chiesi

E quella disse

Tra i vivi non posso più stare"

Basterebbero le parole pronunciate da questa innocente creatura a rappresentare l'atroce annichilimento fisico e psichico al quale vennero sottoposti migliaia di deportati ad Auschwitz.

Tedesco di origini ebraiche, Peter Weiss assembla alcune importanti testimonianze ricavate dal processo tenutosi a Francoforte nel 1963-64 contro crimini di guerra in un oratorio in undici canti, "L'istruttoria" (Die Ermittlung. Oratorium in 11 Gesängen), testo teatrale pubblicato nel 1965 e tuttora molto rappresentato. Il giudice, il procuratore e l'avvocato difensore dell'accusa gestiscono l'interrogatorio, in cui vengono giudicati diciotto imputati (realmente esistiti), avvalendosi delle deposizioni di nove testimoni anonimi, che impersonano alternativamente i molti teste anonimi intervenuti durante il processo di Francoforte. I primi due testimoni erano funzionari all'interno del lager ma non sono incriminati; essi rispondono in modo esaustivo solo in merito agli aspetti burocratici dell'amministrazione di cui erano parte e si barricano dietro il muro dell'omertà quando vengono poste loro domande più tendenziose o quando viene semplicemente chiesto loro di prendere posizioni. Eppure, dacché sono incensurati, viene dato loro il privilegio dell'anonimato al pari dei restanti testimoni, le vere e proprie vittime di guerra, gli "Häftlinge" (che significa "detenuti, incarcerati", grazie ad un uso estensivo "deportati"): sette persone che furono sottoposte a schiavitù, vessazioni e ogni tipo di efferatezza; persone spogliate della loro identità e del loro senso di appartenenza a una cultura, a un popolo, a una religione; persone senza più voglia di ricominciare o addirittura di vivere (si pensi a Paul Celan e a Primo Levi, tanto per citare due esempi illustri). Tra questi sette Häftilnge due sono donne, i testimoni 4 e 5, che hanno sperimentato i drammi della sezione femminile di Auschwitz, in cui le internate soccombevano spesso all'egoistica necessità di prevaricarsi reciprocamente per alimentare anche solo di poco la speranza di sopravvivere. L'unica Häftlinge che non resta ignota è defunta, Lili Tofler, che venne giustiziata con l'accusa di sabotaggio e alla quale viene dedicato il quinto canto. Dall'altra parte, gli imputati rigettano le accuse con sprezzo e sarcasmo e quando raramente ammettono in minima parte le colpe a loro rivolte attribuiscono la responsabilità agli organi superiori, i quali, a loro detta, li costringevano a uccidere e a torturare, pena la morte o gravi sanzioni disciplinari. La realtà corrisponde sicuramente alla tesi del procuratore, il quale afferma che coloro che aderirono al programma di sterminio di massa lo fecero volontariamente, poiché "Al fronte/ avrebbero avuto la vita in pericolo/ Così rimasero/ dove avevano solo nemici inermi". Gli imputati non sono anonimi e ognuno di loro ha un forte valore simbolico. Tra essi, ricordiamo l'addetto alla sicurezza Boger, che seviziava e riduceva in fin di vita i deportati con metodi di ferocia e sadismo inconcepibili, Stark, che all'epoca era solo un liceale ma che si prestava alle esecuzioni con tremenda efficienza, i dottori Klehr e Capesius, responsabili di aver introdotto nel lager modalità di uccisione basati sull'utilizzo del fenolo e del gas Zyklon B.

Weiss trasforma le testimonianze dell'istruttoria in un testo poetico che dal punto di vista strutturale affonda le radici nell'Inferno della Divina Commedia: diviso in canti, posti in un climax crescente di drammaticità e sgomento come nel referente dantesco, segue anche con ordine quasi cronologico le tragiche vicende dei deportati, dal loro arrivo in treni in cui erano stipati alla loro cremazione, e la crudeltà man mano sempre più inumana dei loro aguzzini, che con l'andare del tempo si rivelano dei sanguinari carnefici istituzionalizzati. L'autore trasforma i dialoghi in poesia suddividendoli in frasi molto brevi, che talvolta consistono in una sola parola, e rifiutando la punteggiatura, conferendo così allo scritto un algido e spiazzante laconismo. La descrizione degli orrori del lager scorre implacabile e torrenziale, il lettore viene rapito da una lettura che non concede tregua, tale è la carica emotiva che anche una singola parola è in grado di sprigionare. Un'opera indubbiamente meritoria, e non solo per l'efficace contributo documentaristico, ma anche per la forma, per l'originale e impagabile veste lirica con cui fu concepita. Uno schiaffo in faccia alla coeva Germania del "miracolo economico" guidata da Konrad Adenauer, che con il suo governo centrista e reazionario indusse una nazione intera a schivare vigliaccamente le proprie responsabilità storiche e a dimenticare in fretta un passato scomodo e ingombrante. Un'opera perfetta, per non dimenticare e per sensibilizzare.

Uscii dal Lager

Ma il Lager esiste sempre

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