Se l'arte è il riflesso della cultura che la produce e la musica è un'espressione artistica, va da sé che la produzione musicale finnica risulta sicuramente degna di attenzione, essendo appunto la Finlandia lo stato in cui pare si viva meglio nel mondo (paradossalmente si registra anche un altissimo tasso di suicidi, ma va bè).
Scorrendo l'elenco certo non esaustivo delle principali band finlandesi (finora ne ho contate 190 su 5 milioni di abitanti) salta all'occhio che il 63% di queste sia riconducibile all'ambito metal.
I Pharaoh Overlord sono stati partoriti per costituire il 37% residuo: i non-metal.
Occorre dire che la band è stata infatti fondata nel 2000 da tre dei componenti dei Circle (recensiti sul sito qui e qui) ovvero una delle poche band sperimental-space-kraut-hard-post-rock finlandesi. Così Jussi Lehtisalo, Rättö ja Lehtisalo e Janne Westerlund portano avanti da due decenni questo progetto parallalelo che costituisce l'aspetto non ludico della loro circle-personalità musicale, in un'ottica di complementarità rispetto alla formazione principale. Tale complementarità è pubblicamente dichiarata attraverso i due dischi pubblicati nel 2015 : rispettivamente per i Circle abbiamo l'album Pharaoh Overlord e per i Pharaoh Overlord abbiamo l'album Circle.
Zero è il quindicesimo della produzione dei faraoni e, pubblicato nel 2018, costituisce il raggiugimento della nuova maturità artistica (i lavori successivi saranno coerenti con questa “svolta”, consiglio l'ascolto dei due dischi successivi 5 e 6), appunto lo zero; per cui dallo stoner dei primi album (consigliato tra questi l'ascolto di #3) si volge lo sguardo verso nuovi orizzonti. La ripartenza avviene attraverso la riproposizione di alcuni brani di un disco precedente, Horn, a sottolineare il più classico “un passo avanti e due indietro”, decisamente migliorativo dal mio punto di vista trovo infatti Zero più originale dei precedenti album nonostante non inventi assolutamente nulla, anzi.
I Faraoni per Zero si avvalgono di due decisive collaborazioni:
La prima è quella che riporta il gruppo su più classici e familiari territori metal, riguarda la scelta della voce ovvero Antti Boman che qualcuno – forse - ricorderà per essere stato il frontman dei Demilich (recensito sul sito qua). Per chi conosce il disco dei Demilich probabilmente non è necessario specificare che il cantato in growl di Boman è caratterizzato da un registro talmente basso, profondo e viscerale che definire cavernoso sarebbe un eufemismo.
La seconda è legata alla presenza di Hans Joachim Irmler, uno dei fondatori dei Faust che possiamo a buon titolo ritenere il responsabile degli elementi krautrock presenti, riferendoci col termine ai Faust (ovvio) e ai Neu!.
Come nell'album predecessore Horn, Zero si apre con la cover di Revolution degli Spaceman 3. Bisogna ammettere che lo shock provocato dalla voce di Boman che rantola WELL... I'M SICK... non abbandona facilmente l'ascoltatore neanche dopo numerosi ascolti, seppure personalmente trovi l'esperienza affatto sgradevole.
Revolution è probabilmente il pezzo meno interessante del disco anche se indubbiamente ne costituisce il manifesto programmatico, schiarendo subito le idee agli scettici che potranno rifiutarsi di ascoltare il resto. Si procede in un crescendo di follia che tocca molte sonorità degli anni '70, per questo oltre al krautrock citato sarà possibile riconoscervi la lisergicità spaziale degli Hawkwind su I Drove All Night by My Solar Stomp e Lalibela Cannot Spell Zero , oppure diventa sensualmente animalesca su Satavuotiaiden salaisuus . Talvolta il rantolo della voce di Boman si fonde interamente nella musica o - per meglio dire – viene risucchiata nel vortice da buco nero complessivo.
Temerariamente H.J. Imler, uno dei padri del krautrock, rivela ancora larghe vedute o forse una sana e costante attitudine al divertissement, senza porsi grandi problemi di ibridazioni stilistiche.
Per l'ascolto (rigorosamente a volume molto alto) sono altamente consigliabili una mente eclettica e tanto buon umore.
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