Chi muore, muore e basta.

Warren Zevon è morto da qualche tempo e da allora, quando i bimbi vanno a letto, non è rimasto nessuno a cantare ninne nanne sghembe, popolate di lupi mannari, guerrieri decapitati e Boom Boom Mancini di ogni risma; e nessuno tornerà a farlo.

Chi non muore, immancabilmente si ripete.

Phil Cody calpesta ancora questa valle di lacrime ed al suo pigmalione tributa un omaggio che, per valore artistico, pareggia «The Sons Of Intemperance Offering», ma lo supera per partecipazione emotiva e compassione.

Chi non muore, talvolta si ravvede.

Anche io sono tra quelli che calpestano una valle di lacrime, e sangue e sudore e polvere, e fino ad oggi reputavo stoltamente «Splendid Isolation», «Mutineer» e «The Hula Hula Boys» episodi tutto sommato minori nella carriera di Warren Zevon. Adesso ho imparato che non è mai troppo tardi per scoprirsi un idiota.

Chi non muore, prima o poi morirà.

Ne ho sentite non poche di storie di gente morta in modo originale e penso possa accadere anche per un groppo che azzanna alla gola all'improvviso e giusto il tempo necessario a fermare il respiro e chiudere gli occhi per l'eternità. Quel tempo può essere un istante, quello di «The Indifference Of Heaven» e Don't Let Us Be Sick», ora che si sa come è andata a finire la storia, il futuro è stato scritto e non può essere cancellato e riveduto con un semplice “errata corrige”.

E siccome voglio andare avanti a vivere la vita, la pianto qui e me ne vado ad addentare il gustoso panino che avevo approntato prima di stendere queste semplici righe.


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