Ci sono autori che inevitabilmente rimangono legati alle proprie origini geografiche e ci tengono in particolar modo a far conoscere al mondo intero le più torbide sfaccettature delle loro terre natie; non risulta un caso che i migliori film di mafia siano stati diretti da tizi che si chiamano Coppola, Scorsese e De Palma. Non risulta neanche un caso il fatto che certi autori vogliano così far capire al grande pubblico che quella disgraziata sottocultura è parte integrante del processo di fusione ed omologazione tra popoli che ha dato vita a quello che oggi è diventato il nuovo continente. Ci sono passati tutti nell'immaginario cinematografico, in questo senso: italiani (in primis), russi, polacchi e irlandesi. Gente che, nel corso del tempo, ha contribuito a fare terra bruciata e a succhiare via l'anima e le risorse del nuovo mondo (Scorsese ci ha spiegato come iniziò tutto con "Gangs of New York"), gente cattiva, spietata, che uccide, tradisce e diventa ricca. Ma è anche la stessa gente che viene rappresentata sul grande schermo come protagonista assoluta, che ci piaccia o no.

Compito del cinema è scegliere cosa farci vedere. L'occhio dello spettatore non deve necessariamente essere critico e obiettivo quando in una storia non esistono buoni e cattivi, quando il personaggio principale si chiama Vito Corleone o Tony Montana, quando la stessa rappresentazione dei fatti ci fa sviare da ciò che è giusto o sbagliato.

Phil Joanu è un regista irlandese ed ha scelto di farci vedere come parte del suo popolo sia cresciuto negli USA grazie a violenze e soprusi (un pò come avevano fatto Mario Puzo e Francis Ford Coppola), ma lo fa dal punto di vista di un "buono", Terry, un poliziotto che si infiltra, nel quartiere di Hell's Kitchen, in una organizzazione criminale irlandese con il compito di sgominarla. Anche Terry però è irlandese e soprattutto Hell's Kitchen è il suo vecchio quartiere e le persone che dovrà fregare sono i suoi vecchi amici. Terry ha un passato da delinquente ma poi è passato dall'altra parte, dal lato buono dell'America, quella stessa America che adesso vuole estirpare quei cancri che continuano a crescere per le strade.

"Stato di grazia" è questo, un viaggio nella dualità del protagonista, un viaggio che, fino alla fine, non ci fa capire se Terry sia un mafioso o uno sbirro, una lucida e amara versione della verità.....quando cresci nel letame è poi impossibile scrollarselo di dosso. Terry è l'America buona, qualla che ragiunge il suo stato di grazia quando si può ergere a salvare gli immigrati soltanto levandogli l'accento, ma è anche la radice del male che vuole  il suo personale stato di grazia salvando solo  le prsone che ama. Terry non è Donnie Brasco, non viene infiltrato con un nome immaginario, viene rigettato nella fogna dove è cresciuto, la stessa fogna dove adesso ha ritrovato l'amicizia e l'amore e il fatto che sia un poliziotto pian piano inizia a non significare più nulla.

Senza urlare al capolavoro, va detto che però "Stato di grazia" è un film bellissimo, teso, coinvolgente quanto basta nel far precipitare lo spettatore nella testa del protagonista, vivere con lui l'angoscia del tradimento e l'impossibilità della redenzione; la narrazione viene tessuta a mò di dramma Shakespeariano costruendo sequenze di forte intensità scenica, le musiche sono perfette e le interpretazioni efficaci quanto basta.

L'inevitabile finale si svolge durante la Parata di San Patrizio.....decine di persone vestite di verde che sfilano sorridenti mentre a pochi metri il sangue, le pallottole e l'odio.....quello che l'America degli irlandesi vorrebbe essere e quello che purtroppo è ancora.

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