UNA GIORNATA DI RISVEGLI E SOGNI DISTRUTTI
ovvero affrontare il settembre milanese con Phil Manzanera

Mi ricordo che sentii questo album più o meno quando era uscito, cioè circa nel luglio del 2004. L'avevo apprezzato, ma non gustato a fondo, c'era qualcosa che ancora non riuscivo ad afferrare.
Ora è passato più di un anno, e capisco. Capisco che "6pm" ha dovuto aspettare per essere chiamato da questo settembre contradditorio: indeciso e furioso, solare e torrenziale, bollente e piovoso, grigio e afoso...
...perché qui le canzoni e le suite strumentali si muovono proprio come questo settembre milanese continua ad ergersi e strasciare.

Ci svegliamo al mattino con la psichedelia di "Broken Dreams", sembra di aprire la tapparella e mentre la luce inonda la stanza sporgiamo la nostra vita da un piano altissimo; poi d'improvviso ci troviamo nel funky-pop di "Green Spikey Cactus" e come in un futuristico videoclip nel giro di mezza inquadratura veniamo teletrasportati nella corsa quotidiana. "Love Devotion" è dimenticarsi di tutto, è sognare della nostra innamorata che abbiamo lasciato ancora nascosta tra le coperte di velluto acustico e cuscini di violini. Le auguriamo tutto il bene possibile con "I Wish You Well", ideale continuazione psichedelica del brano precedente, sfregiata dall'armonica di Chrissie Hynde, primo dei tanti ospiti del disco. Ma è tempo di svegliarsi di nuovo, recuperare lo spirito da dove l'avevamo lasciato, là tra le coperte, per accorgersi di essere in metropolitana, per accorgersi che le ore scorrono più veloci e isteriche di quanto ne abbiamo bisogno; ora l'inquadratura è un fast-forward mosso che mostra un orologio pubblico graffiato dalla corsa delle lancette e dalla pioggia.
Si arriva stanchi a metà giornata, e nella ballata sixties "Waiting For The Sun To Shine" il sole già sta filtrando nell'ufficio, gli occhi si colorano di speranza, un flashback ci mostra di nuovo tutta la luce esplosa nella stanza al mattino. In quel preciso frame torniamo a sognare per tutto il resto del cd: la fase rem è il piano psichedelico di "Manzra", mentre con il prog di "Cissbury Ring" ci troviamo su una collina di Hobbiville e in lontananza scorgiamo Robert Wyatt suonare tromba e batteria, ed è sempre lui che attraverso l'onirico intermezzo di "Porlock" ci porta fino ad una "Shoreline" dove trova nuova vita il sassofono dei Roxy Music; ancora Wyatt ci conduce nei territori spaziali di "Always You": ora l'inquadratura è quella del film "Contact" in cui la protagonista incontra il padre su una spiaggia alla deriva degli universi.
Ovviamente, come in un sovvertito "Vanilla Sky", ci accorgiamo che è stato tutto un sogno, e nel risveglio troviamo accanto a noi la chitarra che David Gilmour ha prestato all'agitazione di "Sacred Days". Tutto è finito, e tutto è pronto per iniziare di nuovo, anzi tutto deve cominciare da capo, con altre mattinate fredde e tiepide, rumori di tapparelle che si alzano e pianeti che si addormentano alla deriva di qualche mare abbandonato ad agosto.

Spero di essere riuscito a rendere l'idea di un disco che è qualcosa di più dei Roxy Music riuniti con Eno e senza Bryan Ferry, qualcosa di più della prova solista di un grande chitarrista aiutato da tante ospitate, forse qualcosa come un sogno di psichedelie passate e suoni futuri che lentamente svanisce con l'irruenza dei primi raggi del mattino e la violenza delle piogge delle 6 pomeridiane...

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