Da sempre l'originalità e la consapevolezza artistica sono, per il sottoscritto, parametri essenziali per la corretta valutazione di un'opera discografica. Fatta questa opportuna premessa, nessuno potrà stupirsi se dico che Phil Manzanera è stato, con ogni probabilità, il chitarrista in assoluto più creativo, più talentuoso e intelligente della scena inglese dei '70. Molti storceranno il naso di fronte a un'affermazione del genere, ciascuno rivendicando i pregi del proprio strumentista "ideale": alcuni ricordando l'astrale cerebralità di un Robert Fripp, altri la Fusion "ante litteram" di un Jeff Beck, altri i riff sanguigni di un Jimmy Page, altri ancora la precisione, l'impeccabilità formale di un Eric Clapton (e la lunga lista non potrebbe certo esaurirsi qui...).
Comunque, se anche molti non dovessero condividere questa lettura (qui avanzata, sia detto, a titolo di pura opinione personale: non parliamo di Verità rivelate), difficilmente potrebbero negare il fatto che Manzanera sia stato, senza ombra di dubbio, il chitarrista fra tutti più sottovalutato: l'enorme portato innovativo della musica dei Roxy Music (scusate il gioco di parole) è un dato riconosciuto ormai da tutti, quel che invece si è spesso, e colpevolmente, mancato di sottolineare è la pesantissima influenza esercitata da Manzanera sulla creazione di quel sound unico, per molti precursore della New Wave ed espressione di una "musica totale" davvero all'avanguardia per quegli anni; definire i Roxy un semplice gruppo Glam è inesatto, oltreché irrispettoso: si ascoltino il primo, omonimo album e il magnifico "For Your Pleasure" (ma anche i successivi non sono da meno, tutt'altro) e si apprezzeranno soluzioni chitarristiche inedite, impreviste, a tratti mirabolanti, capaci di rasentare la genialità e di avventurarsi su sentieri sino allora inesplorati, almeno in ambito strettamente Rock.
E lontane, molto lontane dal Rock furono anche le prime influenze subite dal giovane Philip Targett Adams, poi ribattezzatosi "Manzanera" in omaggio al compositore messicano Armando Manzanero, celebre autore di "boleros" e canzoni popolari; e di certo il Rock non rappresentava il linguaggio musicale dominante nella Cuba pre-rivoluzionaria o in Venezuela, ove il Nostro (padre inglese, madre colombiana) ebbe modo di trascorrere diversi anni. E la sua prima chitarra era stata, non a caso, una chitarra acustica, a conferma di quella significativa componente melodica che è riconoscibile dal suo approccio timbrico, unita a una buona dose di esotismo e spirito di sperimentazione e ricerca. Quei sapori latini così peculiari del suo stile chitarristico (oserei anzi dire: vero e proprio marchio di fabbrica) si erano quindi felicemente combinati con l'atipico (e anti-accademico) Jazz Rock della nascente scuola di Canterbury: tra il 1970 e il 1972 Manzanera era infatti stato membro fondatore dei Quiet Sun, formazione di culto di quella scena, prima di abbandonare quell'ensemble ed entrare nei Roxy Music. Sul fronte discografico i Quiet Sun debutteranno solo nel 1975 con l'ottimo "Mainstream"; contestualmente alle sessions per la realizzazione di questo piccolo gioiello di sound canterburiano, Manzanera si appresta a dar forma al suo eccellente esordio da solista, approfittando anche di un periodo di stasi creativa dei Roxy.
"Diamond Head" è un album splendido, vario e accattivante, abbondante di suggestioni e del meglio di quanto il Rock inglese sapesse proporre in quegli anni. Chi non avesse mai avuto occasione di sentir cantare Robert Wyatt in spagnolo, potrà togliersi questo sfizio tutto particolare ascoltando lo spumeggiante inizio di "Frontera": ritmica secca e precisa, opera del batterista dei Roxy Paul Thompson (più qualche rullata di timbales ad impreziosire il tutto), per un curioso, insolito e stralunato Funk latineggiante, peraltro abbellito da una spettacolare e maestosa introduzione "cosmica"; il tema dell'introduzione è poi riproposto a metà del brano, a far da sfondo al primo degli assoli di Manzanera, graffiante e metallico nell'approccio ma al tempo stesso intenso, corposo, profondamente suggestivo. Discorso analogo per la "title track", primo dei cinque strumentali in scaletta e perfetta vetrina d'esposizione per la tecnica del leader, oltreché per l'impeccabile perizia di tutti i musicisti coinvolti: presenze d'obbligo di certa scena "intellettuale" inglese, a partire dal bassista e vocalist Bill McCormick, con Wyatt nei Matching Mole e già "sideman" di Manzanera ai tempi dei Quiet Sun, passando per un sassofonista del calibro di Andy Mackay, altro indiscusso artefice dell'alchimia sonora dei Roxy e qui protagonista del Rhythm And Blues strumentale "The Flex", fino ad arrivare all'immancabile Brian Eno (solo per citarne alcuni): larga parte dell'album è pervasa dalle bizzarre geometrie tastieristiche di Eno, capaci di amalgamarsi alla perfezione con il sognante estro chitarristico di Manzanera. Il contributo del futuro teoreta della "Ambient Music", comunque, non si limita al solo ambito strumentale, dato che è la sua voce ad interpretare i testi di "Big Day" (gradevole a tratti, ma forse un po' troppo sciropposa, unico punto debole dell'album) e della surreale "Miss Shapiro", cavalcata chitarristica spesso riproposta da Manzanera anche dal vivo.
Il resto del repertorio è altrettanto notevole, a cominciare dalla sinuosa "Same Time Next Week", imperniata su ritmiche dispari alla King Crimson e (non a caso) cantata da John Wetton in duetto con Doreen Chanter; sono invece i Quiet Sun al gran completo ad accompagnare Manzanera tra i meandri Jazz-Rock di "East Of Echo", composizione multiforme filtrata dalle sonorità del sintetizzatore, persa tra le dissonanze della chitarra del leader e sostenuta da una linea di basso pulsante; arrivando infine alla chiusura in grande stile dell'album, con la classicheggiante "Alma" (per l'insolita accoppiata oboe-chitarra acustica) a precedere la "pinkfloydiana" Carhumba, spettacolare ballata distesa fra le consuete atmosfere spaziali e ammalianti create dalla chitarra solista (da pelle d'oca la parte finale, apice dell'intero disco).
Cinque stelle incontestabili. Album stellare e imprescindibile.
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