Scena 1/esterno giorno/ tra Bleecker e McDougal.
Una cadillac si ferma. Qualcuno dell'interno apre la portiera. Un giovane vestito di abiti lisi viene scaraventato fuori dall'auto. Invisibile, dall'interno dell'auto, la voce nasale di mr. Zimmerman lo apostrofa canticchiando i versi di un brano dei Kinks: "Hey mister reporter, how about talking about yourself?" La macchina riparte bruscamente.
Stacco. Flashforward. Una lapide. Incorniciata da un anello dorato la foto in bianco e nero del defunto. Il ragazzo che abbiamo visto rotolare fuori dall'auto poche inquadrature prima. Il lampo di un flash e il click della macchina fotografica sono il raccordo sonoro per uno stacco sull'asse ad allargare il campo. Chino sulla lapide e intento a fotografarla, è ancora lui, il presunto defunto...
Stacco sul dettaglio delle mani di un uomo, che rovistano tra i vinili negli scaffali di un negozio. Estrae un vinile. In copertina campeggia la foto della lapide. Il titolo dell'album è Reharsal for retirement (prove per il pensionamento). La panoramica lenta dalla copertina al volto dell'acquirente ci rivela Jeff Tweedy, il leader dei Wilco, incerto tra una smorfia amara ed il sorriso compiaciuto nel guardare il suo imminente acquisto.
Stacco. Jeff Tweedy suona la chitarra, le gambe incrociate sul divano di casa, accanto a lui la copertina di Reharsal for retirement... Canta: "How to fight loneliness/smile all the time/ shine your teeth ‘till meaningless/sharpen them with lies"... irrompe il larsen di un microfono a volume troppo alto. Stacco.
Siamo dietro le quinte di un palco teatrale, il velluto rosso si spreca. In una specchiera a parete l'immagine riflessa di Elvis, vestito di lamè dorato.ma il controcampo sull'uomo allo specchio scopre una copia sbiadita e caricaturale di Elvis. Il lamè dorato veste ora il giovane incontrato sul marciapiede di bleecker e mac dougal e intento a ritrarre la propria lapide. Quel ragazzo si chiama...
Phil ochs sale sul palco; il sipario si alza e lui imbraccia la chitarra. Inzia a suonare e sembra un incongruo matrimonio tra Elvis e Woody Guthrie. Al suono della sua voce si sovrappone fuori sincrono il primo accordo di Jailhouse rock, distorto e trascinato mentre la voce schizofrenica e paranoide di Scott Walker canta: Jesse are you listening? Jesse are you listening?
Stop frame a immortalare Phil Ochs nell'immagine di copertina di Greatest Hits... partono i titoli di testa... o sono già quelli di coda?
Ascoltato di sfuggita "Greatest Hits" è un disco ironico. Ascoltato di sfuggita è un disco confuso, sfuocato, senza capo ne coda. Ne guardi la copertina. Questo Elvis dei poveri sul davanti è un po' patetico. Sul retro la frase 50 fan di Phil Ochs non possono avere torto ti strappa tutt'al più un sorriso cinico.
Ma attento, solo che tu conceda a questo disco un secondo ascolto. Solo che tu ti sieda e abbandoni i tragitti tra le padelle in cucina e il computer alla scrivania ed ecco che una sottile, pervasiva inquietudine prende lo stomaco.
Sarà stato pure un reporter, Phil Ochs, come da epiteto sferzante del signor Dylan, ma un reporter della nobile genìa dei James Agee; e la sua inchiesta sull'America rurale "Sia lode ora a uomini di fama", se la si ristampasse oggi, accanto al corredo fotografico di Walker Evans, meriterebbe un link all'mp3 scaricabile di "Boy in ohio", dolce amaro ritratto dell'infanzia di Ochs, con ricami di fiddle e banjo in bell'evidenza.
La confusione del disco diviene piano la perspicua immagine di un'America irriducibile a fotografie semplici ed emblematiche.
La prospettiva privilegiata da Phil è lo sguardo eccentrico del provinciale che rimane indietro rispetto ai ritmi frenetici della raising babilonia. E quando canta il nuovo che avanza è con il sentimento del regnante disarcionato: "a car, a car, my kingdom for a car!"... che con i suoi ritmi rock'n'roll sarebbe pronta per uscire da radio e altoparlanti di American Graffiti, non fosse che la voce persa nel mix e le parole amare che pronuncia avrebbero strozzato i pop corn in gola a più d'uno nelle sale cinematografiche di un' America che ostentava un fragile ottimismo sempre pronto a mutarsi in disperazione...
Il cinema Phil Ochs lo spia con il livore paesano di una cittadina dell'indiana, incarnato in quel giovane introverso e sinistro di Jim Dean. Il pianoforte ne segue la traiettoria dolente verso un successo che è solo una parabola arcuata verso l'abisso. Un solo strumento dal suono cristallino per seguire una traiettoria di solitudine che lo Star system può mascherare ma non redimere.
Sarà pure un cronista Phil Ochs, ma quando racconta l'establishment politico lo fa con tecniche di straniamento quasi brechtiane. Del resto "Greatest Hits" è una raccolta di canzoni tutte inedite che l'insuccesso ineluttabile lo inastano come vessillo. E così la canzone su Nixon e la sua ascesa è la messa in scena di un finto concerto. Con tanto di introduzione parlata e risate del pubblico, ma in mezzo uno stacco sonoro la cui falsità è così udibile da riuscire demistificante e iperrealista. Iperealista come la casa bianca che ora secondo il nostro cronista alberga in Disneyland e nel quale si svolgono comiche degne di Laurel & Hardy.
Sarà pure un cronista Phil Ochs, non può vantare la capacità di Dylan di uccidere la tradizione, trasfigurarla, e contrabbandarla nel futuro apponendovi in calce la propria firma di novello baudelaire; ma in compenso è un cronista di un presente possibile. Non un pragmatico ancorato allo statu quo. Il suo è un presente del quale si può provare nostalgia; un presente dove la tradizione è viva e conciliata, e le diversità e il dissenso sono bene accetti. E se passate per quel presente utopico potete entrare a prendere un the (non ci troverete Randy Newman magari, anche se ogni tanto, messo da parte il cinismo, è passato di lì), insieme a Bach, Beethoven, Mozart e Phil... il maggiordomo che fornisce l'arrangiamento per quei the pomeridiani sia detto per inciso è il produttore Van Dyke Parks (che per lavorare a casa ochs, spolverando i brani con tutto l'armamentario di chincaglieria sonora retro in suo possesso, rinuncia anche volentieri alle meritate ferie a Trinidad).
Ha ragione Tweedy: quando si ostentano troppo le risate, il crinale sull'amarezza più cupa, sulla solitudine più nera si fa molto labile. E quando iniziano i tamburi e i corni inglesi di No more songs sembra l'alba di un apocalisse degna di Scott Walker. Dicono fosse pazzo Phil Ochs, in preda ad uno sdoppiamento di personalità, (si danno ragione così delle sue sperimentazioni controproducenti e radio unfriendly?), eppure quando trova il tempo di venirci a salutare così prima di assentarsi per sempre dal mondo della canzone, per dirci che: "Hello, Hello Hello, is there anybody home? I've only called to say I'm sorry/ The drums are in the dawn / and all the voice's gone/and it seems that there are no more songs" ...Beh, l'impressione è che a volte la follia sia più lucida di qualsiasi sanità mentale.
Che la confusione possa essere più a fuoco di qualsiasi calligrafica cartolina.
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