Due universi apparentemente inavvicinabili quelli di cui andrò àd azzardare la subliminale liason eppure per taluni versi le due entità prese in esame potrebbero apparire contigue se non legate dalla stessa idiosincratica filosofia: approcciare e rendere rappresentabile, vagamente tangibile: il nulla.

"At All Ends" dei catastrofisti pentragrammatici Yellow Swans e "Die Große Stille" di Philip Gröning parrebbero indirizzare, ciascuno con il proprio estremo ed antitetico rispetto all'altro modulo espressivo, il proprio sguardo verso il non rappresentabile. Si potrebbe anche sindacare che per un verso e per l'altro ci si trova innanzi a opere estreme se non meramente gratuite, sostanzialmente inintelleggibili:vuoti esercizi di stile. Invero potrebbe essere, per taluni, una lettura plausibile degli inenarrabili accadimenti posti in essere.

 

"Die Große Stille" (Il Grande Silenzio) ultima opera cine-documentaristica realizzata dal coraggioso film-maker Teutonico è un lungometraggio a carattere rigidamente documentaristico girato integralmente all'interno, e nelle prospicienti aree attigue, della Abbazia Certosina de La Grande Chartreuse, Monastero ubicato sulle Alpi francesi prossime alla città di Grenoble. Un lavoro considerevole ed estenuante fin dal suo incipit realizzativo: Gröning infatti ha atteso circa vent'anni prima che venisse Lui concesso il permesso di vivere la medesima esperienza [questo è il fulcro portante dell'opera] degli abituali abitanti del Monastero: come ogni appartenente alla comunità Philip ha voluto e dovuto vivere, condividendo e contribuendo con il proprio concreto operato alla normale routine della attività quotidianamente in essere, sia di carattere liturgico che meramente operative, per un periodo (infinito?) di circa quattro mesi.

Stante il risultato che Gröning ci consegna, cercando di racchiuderne l'essenza all'interno di 160 minuti primi di fulgida pellicola, deve essere stata una esperienza singolare quanto straordinaria, sia nel caso in cui costui (o chi ne scruti l'evolversi delle perlopiù statiche immagini) sia credente che in caso contrario, dalla quale è sicuramente arduo far ritorno senza subire sensibili mutamenti nel profondo.

Il silenzio (davvero) assoluto e la ciclicamente serafica reiterazione delle medesime ritualità dominano incontrastati, pervadendo e annichilendo lo (ignaro) spettatore di turno: gli unici momenti all'interno della giornata nei quali si percepisce il suono della compita ma inscalfita voce dei confratelli sono quelli legati ai frangenti nei quali si pongono in essere i molteplici riti volti alla attività implorative.

Non saprei se il regista in questo placidamente raggelante pamphlet abbia tentato di rappresentare stocasticamente l'esistenza di Dio e della relativa Fede posta volontariamente in essere a Suo uso e disposizione, oppure abbia più umanamente tentato di tracciare una sorta di cine-profilo psicologico (non necessariamente patologico) degli appartenenti alla comunità e degli apparentemente imperscrutabili - per noi umili peccatori/balzani uomini di mondo - motivi per i quali si siano concessi il lusso di una esistenza talmente ascetica tanto altamente improbabile, stà di fatto che nonostante il sommo, sacro, imperante nulla (o tutto: ciascuno stabilisca) ivi rappresentato il risultato affascina e ammalia proprio in virtù di questa congrua sensazione di impossibilità di discernimento di fondo.

Da scrutarsi, per converso e completezza, quale insalubre ma perfetta colonna visiva al "Nulla" pentagrammatico catturato su dischetto ottico dagli ultimi, oramai defunti, Yellow Swans.

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