Ascolto e poi compro. Penso di potermi definire, nei confronti della musica, un po' collezionista. Mi piace conservare nella mia collezione solo gli album che mi lasciano davvero un segno dentro. Questo disco, di cui ho conosciuto l'esistenza quasi per caso, senza alcun dubbio è riuscito a farlo. Dopotutto, Philip Selway non è esattamente quel che si può definire un perfetto sconosciuto: stiamo parlando del batterista/percussionista dei Radiohead, gruppo in grado di valicare, con semplicità, disinvoltura e genio, le sottili barriere tra i generi musicali.

Ammetto colpevolmente, però, che mai mi sarei aspettato che fosse in grado di mettere insieme un album di tale livello. L'album, appunto, è una raccolta di brani caratterizzati da atmosfere sospese, costruite principalmente sulla voce sottile e ammaliante di Philip e una chitarra dal lontano retrogusto seventies. Parliamo fondamentalmente di canzoni acustiche, a tratti arricchite da inserti elettronici mai invadenti, dove il tutto si fonde in una semplice ma perfetta amalgama armonica. Fin dalle prime note di “By Some Miracle”, la canzone di apertura, capiamo che stiamo per ascoltare qualcosa di speciale. Non facciamo in tempo a stupirci per la bellezza inaspettata della prima canzone quando attacca “Beyond reason”, canzone di punta del disco, così cupa e profonda che entra sotto pelle immediatamente anche grazie allo straordinario lavoro della chitarra. Quando arriviamo alla bellissima “The Ties that Bind Us” che ricorda le sonorità dei primi Pink Floyd versione acustica e alla successiva “Patron Saint”, così adorabilmente malinconica, ci siamo ormai resi conto di essere al cospetto di uno dei migliori dischi di questi ultimi anni.

Con l'ascolto della conclusiva “The Witching Hour”, ci sentiamo appagati e soddisfatti di aver vissuto una straordinaria esperienza musicale.

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