“Ciao ragazzi, come va oggi?”

“Ohi Trey, tutto ok! (smettono di suonare) Si provava qualche pezzo… sei pronto a jammare con noi? (basso e batteria iniziano a creare un groove swingato)”

“Sì… certo! - (si reca verso l’amplificatore, lo accende, attacca il jack, regola un po’ di volumi… prova un giro in SI7 bluesato). Sapete sono un po’ così oggi… non lo so… questa storia che passano “Down With Disease” su MTV un po’ mi ha sconvolto!”

“Hai ragione! Ho visto anche io che Beavis And Butthead ci mettono la nostra canzone nel loro programma… mah!”

“Mah! (continua l’arpeggio in SI7 ma ora sembra un reggae)”

“Comunque non mi cambia la vita più di tanto… anche se…”

“Domani concerto…”

“Ah che bello! Tu sì che sai come farmi risollevare subito!”

 

I Phish mi piace immaginarmeli così. Quattro riservate ed eleganti persone che sicuramente amano divertirsi a comporre musica sempre diversa, spaziando dal blues al jazz alla bossanova al reggae al rock più sincero che amano sfoderare incredibili prestazioni dal vivo - e chi ha avuto la fortuna di esserci racconta di serate memorabili – che riescono a amalgamare tutti questi generi in una miscela sempre sapientemente calibrata. Insomma progressive ma con gusto e lontano da paraseghe intellettuali o smanettamenti inutili.

I Phish che non cercano quella notorietà da lustrini e pajettes - anzi sono sicuro che quasi li disturbi un consumo dozzinale dei loro prodotti - che conservano anche dopo anni di concerti e album lo stesso iniziale spirito anarcoide e raffinato, teso a leggere e rileggere ogni genere con leggerezza e quasi con goliardia a volte. Mai una stonatura, mai una creatura che non sia armonicamente elegante e ricercata.

Un gruppo che vanta un affiatamento incredibile, i cui concerti sono sempre stracolmi di gente difficilmente inquadrabile, molto eterogenea, proprio come la loro musica e forse perché - penso di non dire una bestemmia memorabile! - Trey Anastasio e la sua musica trasmettono divertimento e spensieratezza (di qualità e a 360 gradi). Cosa che sicuramente si gusta meglio live che non su disco.

E’ in quest’ottica mi piace immaginare che al momento di sfornare questo “Hoist” nel lontano 1994 si siano detti “Ora facciamo un bel disco Rock!” e pem! – chiaramente a modo loro- abbiano caricato a mille su riffettoni funky blues (“Down With Disease” e “Wolfman’s Brother”), su mood country-rock (“Julius”), o semplicemente rock (“Axilla Part II” e “Sample In The Jar”) o semplicemente country (“Scent Of A Mule” con Bela Flack al banjo, special guest), arricchendolo di momenti delicati come quello con Alison Kraus alla voce (“If I Could I Would") e “Dog Faced Boy” e la bellissima “LifeBoy” e la conclusiva “Demand”, la perla del disco, in cui si riassume tutta l’arte dei Phish, una vera jam di circa nove minuti di progrock jazzato, tesa, tiratissima, cazzuta che finisce con uno schianto di auto e un coro angelico. Geniale!

Il risultato è un disco che scorre che è una bellezza, deciso e di facile ascolto, che mi sento di consigliare a chi ama la buona musica e vuole una bella ventata di aria fresca. Non fondamentale ma sicuramente un disco molto piacevole.

La situazione alla fine del primo ascolto è del tipo 1 (quella mirabilis) “ Ca…, è finito già!… aspetta un po’!!!- (l’ascoltatore si alza, si reca verso la stereo e preme il tasto REPEAT ALL. Parte la prima canzone e con essa un respiro di sollievo insieme ad un sorriso di soddisfazione)

See ya!

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