Piano Magic, amore e musica. “Love & Music”, tutto quello di cui ha bisogno Glen Johnson. Semplice, diretto, ma così etereo, irraggiungibile. La seconda traccia del sesto album è un manifesto, non solo di questa formazione, ma della musica tutta. Se tra le pieghe semantiche della parola love riuscissimo a collocare tutto quello che ci sta, anche di forza.
Perché se da un lato il senso di ineluttabilità che pervade tutte le tracce emerge naturalmente, una forza distruttrice, solo in parte compensata dal ritmo cadenzato, si fa spazio tra le porte apparentemente chiuse.
“Disaffected” è invece un disco di apertura, pur trasudando inquietudine da ogni singolo suono. Ma è un’inquietudine che non preoccupa più, come scivolasse via, perché c’è bisogno solo di amore e musica, il resto non conta.
Il lento incedere di un campanello introduce “You Can Hear The Room”, che marcia ipnotica per sei minuti cadenzata da un assolo tanto semplice quanto notturno; già, la notte, prima del risveglio di “Love & Music”, breve viaggio nella vita di Johnson, ritmato, una batteria in controtempo, una chitarra che lavora sommessamente come un gregario e come lui fondamentale nella costruzione della trama circolare ed avvolgente. Ma non c’è tempo per vivere il giorno perché torna l’oscurità, “Night Of The Hunter” testimonia di un avvicinamento alla forma canzone piuttosto inusuale per la band; destrutturata, ma anche in questo caso circolare, melodiosa, soffice: una notte di segno opposto rispetto a quella precedente, qui si scappa, laddove prima si sentiva. Arriva l’ora di un altro risveglio, ma questa volta la voce femminile di Angele David-Guillou ci guida, tra riverberi elettronici e una chitarra prima accennata e poi incalzante, in un mondo kafkiano, in cui tutto è possibile, ma tutto è anche impossibile. Forse solo l’alienazione e la pazzia, sublimate in un tappeto elettronico finale di tre minuti, possono ergersi a soluzione finale.
Oppure è soltanto l’ora dei fantasmi; “Theory Of Ghosts” e “Your Ghost”, nella loro essenzialità tracciano un perfetto identikit delle visioni “paranormali” di Johnson, glaciale quando declama la sua teoria; caldo, su un letto di tastiera accennato sullo sfondo, quando il fantasma ride e si materializza guardandoci dall’alto. Ma il fantasma continua a prendere le forme di ciò che attraversa, e quando tocca Londra in “I Must Leave London” diventa quasi dolce, supplichevole; un pezzo acustico, semplice ed inusuale, ma che si incastra alla perfezione, anticipando “Deleted Scenes”, viaggio a ritroso nell’elettronica essenziale. Nella povertà, di mezzi, ma non di idee. Il suono sintetico non può far sobbalzare pensando ai Kraftwerk. Quel passo all’indietro esemplificato dall’essenzialità, viene esplicitato nella traccia seguente, “The Nostalgist”; un pezzo quasi Slintiano nel suo incedere per frasi elementari, che conclude in uno scroscio di pioggia il suo vagare senza meta. Ma dopo la pioggia non può che esplodere il sereno, quello di “You Can Never Get Lost (When You’ve Nowhere To Go)”, introdotto da un fraseggio di chitarra acustica toccante ed un cantato da lullaby fanciullesca che ti accompagna fino all’ultima nota.
Semplicemente il disco dell’anno.
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