Un concerto a Sunset Blvd può essere un'esperienza estraniante, in senso positivo intendo, eh. Vedi passar gente vestita da vampiro, turisti indiani che ti scattano una foto mentre sei in fila fuori dal locale pensando d'aver immortalato chissà cosa, cowboy che sembrano usciti da una fotografia di Robert Frank, auto improponibili come una Jeep Wrangler decorata e attrezzata per un nuovo Vietnam, insomma, ci siamo capiti. A propositi di automobili qua a Los Angeles tutti ti dicono "you should buy a car" per via del traffico sia allucinante che lancinante, un sottile gioco di parole alquanto veritiero. La mia risposta pre-impostata da settimane è "you should give me some money", peccato non abbia ancora sortito alcun effetto su eventuali benefattori. Per via del continuo monito sul rimanere intrappolati nelle trincee urbane di LA decido di prender il metro bus con largo anticipo, tanto dall'università al Roxy Theatre non c'è molto tragitto da fare e almeno riesco a godermi l'accoppiata tramonto sulla Sunset (ah-ha) in attesa che arrivi il mio amico Brennan lui sì, causa lavoro, costretto a sfidare la guerra a suon di incroci e semafori. Arrivo così al locale prestissimo, qualche passo più in giù c'è il Whiskey a Go Go dove rischio di esser quasi investito, vabbè dettagli. Giusto, ma chi suona stasera? Visto che sarebbe il report di un live dovrebbe esser importante dirlo. Ci sono i Gates (li scoprirò direttamente dal vivo), i Loma Prieta e i Pianos Become The Teeth a chiudere la serata da headliner: è il tour in supporto a "Keep You" che giunge sulla West Coast. Però ecco, non me ne vogliano i ragazzi di Baltimore, ma io stasera son principalmente qui per quelli che suonano lì, nello slot in mezzo, i Loma Prieta. Se Califano fosse affianco a me inizierebbe a intonare "e tutto il resto è noia". Citare Califano in una recensione su un live...ecco un live di che tipo? In quanto la proposta è affascinante. Loma e Pianos sono gli antipodi, degli opposti che non s'attraggono e che con repulsione interpretano a loro modo il vivere visceralmente la propria musica. Il concerto per me però inizia quando finisce il soundcheck dei gruppi e il personale del locale inizia a farci entrare, vi chiederete perché. Beh, in quanto mi fermo al tavolo del merchandise e il lato Loma Prieta è gestito da loro, DIY ovunque. C'è Val (il batterista), mi chiede come va e gli dico che sono italiano, emozionato di vederli su suolo californiano, a casa loro. Apriti cielo, inizia una conversazione di una quindicina di minuti sull'ultima fatica dei Raein, sulla scena musicale italiana, sulla mia tee dei Birds In Row, in pratica parliamo un po' di tutto e nel frattempo ci raggiunge pure Brian Kanagaki (chitarrista) e apriti cielo pt.2: attacchiamo bottone con la fotografia e le parole scorrono a fiumi. Io dentro di me penso "no dai, non sta accadendo realmente". E invece. Passano i minuti, compro la maglietta che, mi rivelano, raffigura la copertina del prossimo disco in uscita quest'anno e gli auguro di far terra bruciata sul palco.

Mentre mi avvicino alla prima fila, lì, attaccato allo stage e ancora frastornato dall'incontro con i due Loma, iniziano il loro set i Gates. Che dire, una mezz'oretta in cui ad alternarsi è la delicatezza di arpeggi liquidi con una voce che esplora le giuste corde malinconiche, supportata dai tumultuosi riverberi delle tre chitarre che il gruppo si porta dietro. Sul palco ce la mettono tutta e capisco proprio che i Loma con la serata c'entrino meno di zero, infatti le coordinate anche qui virano molto di più sul versante Pianos Become The Teeth. La proposta dei Gates però è più semplice e lineare, oserei dire compatta, con un songwriting che alcune volte sfrutta cliché a iosa e altre in cui riesce ad emergere con aperture eclettiche che potrebbero regalar soddisfazioni se ben sviluppate. Io son come un bambino il giorno di Natale quando il Roxy fa calare il sipario che preannuncia l'arrivo sul palco dei Loma Prieta. È una discesa negli inferi, senza mezzi termini. Se i Gates avevano aperto la serata con melodie soffuse e ritmiche sì d'impatto, ma speranzose, i Loma Prieta decidono di radere al suolo ogni calcinaccio rimasto in piedi. Potrei elencarvi una per una le canzoni fatte, anche se ce ne saranno un paio inedite in grado di far scender la bava dalla bocca sperando che mamma Deathwish al più presto metta online qualche dettaglio sul nuovo full length, ma il verbo incenerire riassume tutto. I Loma son in assetto di guerra, sparano a più non posso una densa coltre di fumo scenica sul palco, quasi a voler rimarcare la caustica impenetrabilità del loro sound. Non concedono pause, in trenta minuti lasciano le briciole ai respiri, è più un'apnea nevrotica di cui loro si nutrono, vivono, acquisiscono forza. Saucedo martella a più non posso, mentre Kanagaki/Leary macinano strati scorticanti di gain sulle chitarre, non bastassero le urla strazianti. Io mi dimeno come un forsennato, ma pochi seguono, si capisce che la quasi totalità è lì per i Pianos Become The Teeth e i volti sulle grandinate massacranti che son i pezzi dei Loma son sì di stima, ma scioccate. Il combo californiano è una furia annichilente e giusto alla fine si ferma a dir un "We are Loma Prieta, from San Francisco, thanks", prima occupa lo spazio fra i vari brani usando effettistica noise - ambient - giocando con la strumentazione, proprio a cercar di esaltar un continuum costruito su macerie taglienti da loro stessi provocate. Il tempo vola ed è tempo di chiudere con "Fly By Night" urlata dal sottoscritto con il cuore in mano. Ma non credete sui Loma ci torno alla fine.

Giusto un paio di minuti per aggiustare il cambio di telone da :artworkmisterioso: dei Loma Prieta al logo dei Pianos Become The Teeth che la band capitanata da Kyle Durfey si presenta pronta in cabina di regia. È l'anti climax perfetto all'abisso in cui si era sprofondati, dal buio più opprimente, arrivano loro con un "Keep You" da far valere in sede live e metter in mostra tutta la fragilità che la loro musica riesce a far esplodere. Le scapocciate non son più furenti come con i Loma Prieta, ma liberatorie, in quanto i nostri su disco avranno fatto la transizione piuttosto decisa da lidi screamo a quelli di realtà emo/indie/whatever/post rock, per via soprattutto del clean di Durfey, ma live non ci si accorge neanche lontanamente di ciò. E dire che la setlist vedrà proposto per la maggior proprio "Keep You", con pochissimo spazio riservato a "The Lack Long After" e con "Old Pride" lasciato nel ripostiglio. Colui che alza i toni della loro performance è evidentemente il batterista David Haik; anche nei pezzi più intimi e dilatati pensa di dar un'energia tale come se stesse eseguendo un pezzo dal loro vecchio repertorio. Se nei frammenti nostalgici delle melodie dei Pianos si odono gli echi di gruppi come i The National, quando le cose iniziano a farsi più vigorose il loro animo caotico prende il sopravvento, trascinando l'intera platea in sing-along e deflagrazioni emotive in cui si entra in un mood inevitabilmente struggente. La bravura dei nostri è quella di giocar alla grande sugli equilibri riflessivi, stando ben attenti di non sconfinare negli attimi palesemente cheesy. Se su disco "Keep You" poteva trarre in inganno a riguardo, Kyle Durfey dal vivo è di una verve che spazza via ogni dubbio. Piglia il microfono in mano e inizia a vivere ciò che sta cantando. Credo proprio sia questo il quid vincente di una perfomance introspettiva e fortemente sentita, in cui conferisce tutto il dramma e la sofferenza che i Pianos Become The Teeth in un gioco di chiaroscuri creano con facilità disarmante. Sì, a livello di songwriting gli si può dire ben poco. Dopo l'escalation di "Hiding" è già tempo di bis; come le luci si spengono più volte lentamente durante il loro set, quasi a simboleggiare un'ultima fiammella che sospira arriva "Say Nothing" che nei suoi sette minuti cadenzati è magnetica e butta giù a terra come i vecchi Mineral sapevano fare. I Pianos ringraziano per l'ennesima volta e la serata al Roxy si chiude. Chiude?

Beh, quando sto per uscire dal locale sento una mano sulla spalla, è Brian che mi fa un cenno, saluta e mi dà una spilla dei Loma Prieta. Che dire. Che dire. Che dire. Che dire. Un epilogo che mi ricorderò per tanto tempo e cercherò di rivivere, anche ora mentre son su una banchina ad aspettare un autobus per tornare a casa, con il freddo venticello dell'escursione termica losangelina. Sì, forse dovrei proprio pigliare una macchina, ma mi accontento di una spilla per ora. Roxy, noi ci vediamo per la prossima, Modern Life Is War e so già che non deluderai.

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