Il secondo lavoro dei Piciudguma ha lasciato un po’ di amaro in bocca agli intransigenti del Karpatian grindcore, visto che fino al momento della sua uscita il gruppo veniva considerato il portabandiera di genere nell’ambito della scena musicale di Castellero Trullallero Trullallà.
Il suono si è parecchio ammorbidito rispetto al primo album, la maggior parte dei pezzi è un hard rock che sa molto di minestra riscaldata.
Scivolano via senza lasciare il segno lunghe e goffe scopiazzature acidicìdiche come “Sunki Takanarama”, con testo improbabile che parla del dramma di un giapponese abbandonato da bambino nella giungla e allevato da dei gorilla, “Arcicioc”, che tratta di oggettistica per il faidate, e “Mannaliradapesèlburmia” che tratta delle ristrettezze economiche dei giovani di oggi.
Trova spazio addirittura il blues di “a pä 'na barca a veia”, blasfemo ri-arrangiamento di una folk song genovese. Blasfemo perché fa il verso senza vergogna a quanto fatto dai Led Zep con Babe I'm Gonna Leave You.
L’unico pezzo ad essere caratterizzato dal vecchio sound è la title track. La voce produce un mantra catarroso di bestemmioni di una quindicina di minuti, tappeto ritmico su cui trovano appoggio il soli lancinanti e lascivi del chitarrista e le detonazioni di un basso marcio e volutamente stonato. Sullo sfondo il rumore di un motore a scoppio che fatrica ad ingranare. La batteria si limita al compitino per tutto l’album.
La copertina è un evidentemente omaggio al primo album di Peter Gabriel, di cui i membri del gruppo sono dichiaratamente fan.
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