Immenso Pasolini.
Avvicinarsi a un film come questo (forte, vibrante, immenso) può essere una di quelle esperienze che ti forgia e ti scuote la vita per sempre.
Assistere alla trasposizione quasi alla lettera del Vangelo di Matteo ad opera di uno dei più grandi registi e talenti che la penisola abbia mai avuto la grazia di accogliere a sé, è una di quelle esperienze formative basilari per crescere con una giusta coscienza critica e formarsi un minimo scheletro etico e umano, indispensabile per una crescita armonica come uomo, cittadino e persona.
Un’opera che, a mio avviso, andrebbe proiettata d’obbligo nelle scuole materne o medie, sia per inquadrare meglio il personaggio Cristo e sia per avvicinarsi a una ricerca spirituale che può e deve essere soltanto individuale.
Le cronache raccontano che Pier Paolo Pasolini, lesse pubblicamente dei brani del Vangelo ad Assisi nel 1962 e, folgorato da quelle pagine pregne di sacralità e armonia decise, in barba alla sua fama di personaggio scomodo e discusso (era stato da poco condannato per vilipendio alla religione di stato!), di ricavarne un film.
Un film più precisamente tratto dai Vangeli di Matteo (scelta non casuale), quelli più vicini alla carnalità e alla parte più umana e terrena della figura di Gesù, ponendosi con occhio laico e curioso dalla parte di qualcuno lontano, o addirittura diametralmente opposto, dalla visione cristiana della vita (in più riprese Pasolini si era dichiarato Ateo Non Praticante).
Un film che fu un vero e proprio calvario, organizzativo e produttivo in primis, in un percorso quasi parallelo con la Passione del Cristo che avrebbe rappresentato in pellicola. Una specie di percorso duplice e parallelo tra vita vera e finzione.
Un film nato dalla collaborazione con la Pro Civitate Christiana per la sceneggiatura, quasi come se P.P.P. volesse cercare una sorta di riappacificazione con la Chiesa. Scelta coraggiosa e che lo fece tacciare di Alto Tradimento dalle frange della sinistra più radicale e di ammorbidimento da parte di un regista che aveva fin qui intrapreso direzioni completamente differenti. Ma il film voleva rappresentare Altro ed elevarsi al di sopra delle parti, oltre i facili giudizi fin’ora espressi.
Scrissero i giornali dell’epoca:
Il Tempo: Il regista ha sottolineato alcuni episodi della vita di Gesù che sembrano contenere semi più rivoluzionari...
Il Corriere della Sera: Combattuto tra ideologia e sentimento Pasolini ha tentato di recuperare al suo laicismo i caratteri della religiosità, ma poiché l'operazione ha un accento volontaristico, gli è sfuggito quel carattere precipuo che è il senso del mistero...
L'Osservatore Romano: Fedele al racconto non all'ispirazione del Vangelo...
Ma tutte queste polemiche non influirono sulla lenta ascesa del film che diverrà in breve tempo una delle migliori trasposizioni cinematografiche - a carattere religioso - della storia del cinema.
Un film anche che va in controtendenza rispetto a certe produzioni Kolossal a cui si erano ispirati i predecessori fatti sulla vita del Cristo.
Una pellicola asciutta, scarna, volutamente povera (girata quasi interamente in Lucania, presumibilmente simile ai luoghi dove si svolsero i fatti e con attori semi sconosciuti e anonimi) in cui si sente la presenza della polvere, del caldo. Film minimalista oserei dire, quasi privo di musica (salvo rari passaggi) e con i dialoghi ridotti all’osso e presi letteralmente dai testi sacri, in una miscellanea di sacralità e poesia raramente raggiunti da un’opera sul maxischermo.
Un film che narra fondamentalmente per immagini, in un bianco e nero che trasuda spiritualità in ogni scelta, in ogni sguardo, in ogni movimento di macchina. Un film che, in un’Italia in pieno boom economico, misura la coscienza di una nazione che sembra ormai avviata a dimenticare i valori primogeniti su cui si era fondata e che fa da monito a tener sempre alta la fede interiore che anima ognuno di noi, laica o religiosa che sia.
Parole amare che riuscirono a vedere lontano e a presagire un Italia morbosamente malata e profondamente vuota che è quella in cui viviamo oggi, a quasi 45 anni di distanza da questo film.
Un capolavoro impagabile per gli occhi, per la mente e per il cuore.
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