Piero Schiavo Campo è nato a Palermo nel 1951. Laureato in astrofisica nel 1976, dopo la laurea ha vinto una borsa di studio del CNR presso l'Istituto di Radioastronomia di Bologna, dove si è occupato di radiogalassie, quasar, test cosmologici... Nel 1981, negli anni in cui esplodeva l'informatica 'di consumo', è passato al software. Dal 2004 è docente a contratto presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca, dove insegna Teoria e tecniche dei nuovi media, un corso del primo anno della laurea triennale in Comunicazione e psicologia.

Esordisce come scrittore con la vittoria del Premio Urania Mondadori nel 2012 e con la pubblicazione del romanzo 'L'uomo a un grado Kelvin'. Nel 2015 scrive il romanzo 'Odissea nel futuro', pubblicato da Delos diviso in otto parti. Parallelamente continua a scrivere e pubblicare molti racconti. Nel 2016 vince di nuovo il Premio Urania (Piero è uno dei pochi ad essersi aggiudicato due volte il premio) con il romanzo 'Il sigillo del serpente piumato' (qui la recensione: https://www.debaser.it/piero-schiavo-campo/il-sigillo-del-serpente-piumato/recensione), un'opera che si fonda su una sua vecchia idea e cioè quella di contaminare la FS con la fiaba.

In quella che più che una intervista mi piace considerare come una amichevole chiacchierata, Piero ci ha raccontato di come si è avvicinato alla scrittura e delle sue più recenti fatiche letterarie. Ma l'intervista è stata anche l'occasione per parlare di argomenti di contenuto più strettamente scientifico e che probabilmente interesseranno anche chi non è appassionato in particolare alla fantascienza e affrontare un tema storicamente dibattuto come quello della fantascienza Made In Italy, sconfessando i soliti luoghi comuni sulla questione in un interessante confronto con il boom cinematografico del genere e ponendo l'attenzione su quella che è una realtà che deve ritornare a richiamare in maniera convincente l'interesse dei lettori.

Tutti argomenti che vi invito comunque ad approfondire sul suo blog 'The Twittering Machine': https://schiavocampo.wordpress.com/

Data la ricchezza dei contenuti di questa intervista e in particolare delle risposte ricche di spunti interessanti, non posso che ringraziare ancora una volta Piero a nome mio e di tutti gli utenti del sito per la sua disponibilità e complimentarmi di nuovo per la sua attività letteraria.

Buona lettura.

1. Ciao Piero. Innanzitutto grazie mille per aver accolto la mia richiesta e avere accettato di rispondere a queste domande. La mia idea è quella di cominciare se possibile dalle basi. Cioè da dove nasce il tuo interesse della scrittura e su come si è poi sviluppato nel tempo questo interesse fino a diventare quella che credo si possa definire una parte importante della tua esistenza. Volevo chiederti inoltre quali siano le tue principali fonti di ispirazioni. Se ci sono autori letterari in particolare che ti hanno influenzato nel tempo e che ancora oggi consideri in qualche maniera 'illuminanti'.

P. Ciao Emiliano, ti rispondo molto volentieri. Il mio interesse per la scrittura è nato quando ero piccolo. Divoravo libri per ragazzi (quelli disponibili ai miei tempi, naturalmente). A nove anni ero un appassionato lettore di Salgari e di Verne, intorno agli undici avevo cominciato con i gialli; a tredici anni ho affrontato Guerra e Pace di Tolstoj: mi sembrava un’impresa epica finirlo, e devo dire che ci misi un po’ per entrare in sintonia con quel romanzo, ma alla fine lo trovai fantastico. Più o meno alla stessa età mi capitò tra le mani un Urania. Era intitolato “I canali di Marte” di Fanthorpe. Essendo molto appassionato di scienza, lo lessi e da quel momento la fantascienza entrò nel mio orizzonte di lettore. Ho cominciato a scrivere intorno ai quindici anni; ricordo un romanzo scritto su un quaderno che non trovo più, in cui il protagonista, per fuggire dal mondo, si rifugiava in un castello popolato di fantasmi... Non riuscii a finirlo. Da allora in poi ho sempre scritto, ma senza nessuna velleità di pubblicare. Scrivevo per me stesso finché, intorno ai sessant’anni, decisi di provare a fare qualcosa che potesse avere un senso anche per qualcun altro. Ne venne fuori “L’uomo a un grado kelvin”, con cui (inaspettatamente) vinsi il premio Urania. Che cosa mi ispira? Innanzi tutto l’esistenza, il mondo reale. Molta buona fantascienza è stata scritta come metafora del mondo in cui viviamo, delle speranze e delle paure che esso genera in noi. Trovo che la FS sia uno dei generi letterari più difficili da praticare, almeno per quanto riguarda il romanzo. Secondo me la letteratura è prima di tutto un’operazione di trasfigurazione. C’è un mondo che devo raccontare, e lo racconto come lo vedono i miei occhi: allegro, inquieto, tenebroso, assurdo... Il guaio della FS è che il mondo da raccontare, nella maggior parte dei casi... non esiste! Non posso andare su Marte (come fece, a suo tempo, Fanthorpe), o trasferirmi nel futuro. In sostanza, mi tocca inventare un mondo possibile e nello stesso tempo trasfigurarlo. La prima di queste operazioni è davvero complicata: il mondo reale è pieno di dettagli, e il mondo che mi invento dovrebbe averne altrettanti. Da questo punto di vista, una fonte d’ispirazione formidabile è proprio la letteratura. Non parlo solo della letteratura fantascientifica; ad esempio, nello scrivere “Odissea nel futuro” mi sono ispirato a Dumas (ai “Tre moschettieri” nella parte francese, e alla “Sanfelice” in quella napoletana), ma anche a “Creazione” di Gore Vidal (per la parte di Suvanabad). Insomma, cerco di risolvere il problema facendo della “fusion” letteraria, e rimescolo le carte il più possibile sperando sempre di essere coerente con me stesso.

2. Oltre alla attività in campo letterario, ti occupi di astrofisica e sei docente di 'Teoria e tecniche dei nuovi media' presso l'Università di Milano Bicocca. Quanto questa formazione scientifica influisce sulla tua scrittura? Consideri avere una formazione scientifica più un vantaggio oppure paradossalmente una specie di limite? Nel senso di doverti in qualche maniera 'piegare' letteralmente alla scienza nella scrittura delle tue opere. Sul tuo blog, 'The Twittering Machine' (qui: https://schiavocampo.wordpress.com/), oltre che postare dei brevi racconti, scrivi anche articoli e recensioni. Una parte è dedicata a quella che hai definito 'la strada che ha portato al multiverso'. È un argomento particolarmente interessante e per il quale rimanderei in ogni caso alla lettura degli articoli dedicati sul blog. Ma ti va di provare a spiegare anche qui in breve, ammesso sia possibile, quali siano i principi fondamentali su cui si fonda la teoria?

P. Per quanto riguarda la prima domanda, credo che la scienza sia una fonte d’ispirazione insostituibile per chi scrive SF, anche se in molti casi l’esigenza di costruire storie “interessanti” impedisce di essere davvero rigorosi in senso scientifico. La seconda domanda è più complessa, non riesco a risponderti qui in modo esaustivo. A grandissime linee, la faccenda è la seguente. Dal 1929, cioè da quando l’astronomo americano Hubble scoprì che l’universo si espande, sappiamo che il mondo in cui viviamo ha avuto origine nel cosiddetto Big Bang. Il modello è coerente, e spiega diverse cose (non solo la legge di Hubble, ma anche l’esistenza del fondo cosmico di radiazione nelle microonde e le abbondanze dei diversi elementi chimici presenti nel’universo), ma fino all’inizio degli anni ’80 non poteva dirsi completo. C’erano diversi problemi (i principali erano i cosiddetti “problema della piattezza” e “problema dell’orizzonte”, nei cui dettagli non riesco a entrare), che furono tutti risolti, dal punto di vista concettuale e teorico, con l’idea di Alan Guth dell’inflazione cosmica. In sostanza, nei suoi primissimi istanti di vita l’universo si sarebbe “gonfiato” a una velocità pazzesca, molto maggiore della “tranquilla” espansione a cui assistiamo oggi. Questo modello è coerente con l’idea che l’universo reale sia immensamente più grande di quello che possiamo osservare, forse perfino infinito. Il modello di Guth fu poi perfezionato dal fisico Andrej Linde, secondo cui lo sterminato universo reale è composto da regioni in cui l’inflazione è ancora attiva; quando il fenomeno cessa (come è successo nel nostro angolino), le costanti della fisica assumono determinati valori, che possono essere diversi a seconda della regione in cui il fenomeno avviene. Questo risolverebbe il problema detto del “fine tuning” (“regolazione fine”) di tali costanti. In pratica, si è scoperto che se le costanti della fisica fossero anche leggermente diverse da quelle che noi misuriamo, la vita come la conosciamo non potrebbe esistere! Se ci fosse un solo universo, questo fatto implicherebbe l’esistenza di un “creatore”; se invece esistono gli “universi paralleli” di Guth, il problema non si pone: alcuni di essi saranno abitabili, altri no, ma il nostro è senz’altro tra quelli abitabili visto che siamo qui a parlarne. Quest’idea è nota come “principio antropico” (termine sbagliato, secondo me: il problema non è quello della nostra esistenza in quanto specie umana, ma piuttosto dell’esistenza di qualunque forma di vita intesa come entità complessa basata sulla chimica, in particolare su quella del carbonio). La questione è molto dibattuta; diversi scienziati criticano il principio antropico in quanto non verificabile empiricamente (gli universi paralleli di Linde non potranno mai essere osservati). Spero di averti risposto in modo (almeno vagamente) comprensibile! Per approfondire la faccenda, ci sono molti testi divulgativi di cosmologia in cui il multiverso di Linde è spiegato nei dettagli; per quanto riguarda il “fine tuning”, un ottimo libro è “Una fortuna cosmica”, scritto dal fisico Paul Davies, acquistabile anche su Amazon.

3. Passiamo a 'Il sigillo del serpente piumato', il romanzo con cui hai vinto il premio Urania 2016 (la seconda volta che vinci questo prestigioso premio, la prima volta fu nel 2012 con il romanzo 'L'uomo a un grado Kelvin') e che ho di recente recensito su queste pagine. In una breve conversazione privata mi hai accennato di considerare questa opera come un romanzo decisamente sperimentale e che fondandosi sulla contaminazione della fantascienza a diversi genere, hai voluto sviluppare come una vera e propria fiaba. A parte il fatto che devo dire che questa cosa si evince sicuramente dal romanzo e in particolare dai primi sviluppi nella storia, io ho menzionato come esempi nella letteratura di fantascienza a alcune opere di uno scrittore brillante come Jack Vance. Pensi che sia un riferimento che abbia senso? Come ti è venuta l'idea di scrivere questa storia e secondo quali contenuti hai voluto svilupparla? Ho scritto, relativamente il finale del romanzo, che questo mi è sembrato in qualche maniera poco esaustivo. Come se ci fosse un vero e proprio buco. Questa può essere chiaramente anche una mia interpretrazione sbagliata dei contenuti dell'opera. Come risponderesti a questa considerazione?

P. Il Sigillo del serpente piumato nasce da una vecchia idea, e cioè quella di contaminare la FS con la fiaba. Quest’idea mi portò, diversi anni fa, a scrivere un racconto intitolato “Parvati”, basato essenzialmente sull’intreccio narrativo di una favola russa (nella raccolta di Afanasiev, la favola è intitolata “Ivan Bovino”, da cui il nome “Johnny Cowson”). Qualche anno dopo pensai che Parvati meritava un seguito (che è appunto Il sigillo del serpente piumato). In pratica, il romanzo è in sé una fiaba (pensa al finale...), ed è basato su “materiale tematico” preso da altre fiabe (in particolare, sempre di Afanasiev). In corso d’opera mi resi conto che la faccenda non stava in piedi senza integrare nel romanzo stesso il racconto Parvati che, opportunamente riscritto, divenne la prima parte di quello che è stato pubblicato (non a caso intitolata “Antefatto”). A volte idee brillanti si rivelano irte di difficoltà, quando si tenta di metterle in pratica. In particolare, nel caso del Sigillo del serpente piumato, la trasformazione della favola in FS richiedeva un espediente che rendesse possibile il verificarsi di fatti apparentemente magici. Trovai questo espediente in un’idea enunciata per la prima volta da un filosofo americano, Nick Bostrom. E’ un personaggio singolare e interessante, che insegna in un’università americana ma è anche un transumanista, e l’idea era senz’altro valida, ma come premessa del romanzo creava un problema: il punto di vista di Bostrom è in qualche modo “cosmico”, ma inserire un “afflato cosmico” in una favola non era semplice. In pratica, mi limitai a usare l’idea di Bostrom come un “deus ex machina”, senza dargli lo spazio che probabilmente meritava, e mi concentrai sull’aspetto fiaba. Non so se ho fatto bene; dai commenti che mi sono arrivati (incluso il tuo), mi sembra di capire che è come se nel romanzo mancasse qualcosa, e probabilmente è vero. Chiedo scusa: ho finito il romanzo quindici giorni prima della scadenza dell’Urania, e per giunta sono uno di “pensata lunga”, non amo lavorare in fretta. Mi riservo, comunque, di farne una revisione. Per quanto riguarda il riferimento a Vance, personalmente trovo che il buon vecchio Jack sia stato uno dei narratori più grandi della storia della FS, e l’accostamento mi lusinga!

4. Una delle opere a cui stai lavorando è la serie 'Odissea nel futuro', una serie di romanzi brevi e della quale hai pubblicato finora 8 volumi. Ci puoi dire qualche cosa su questa serie? A parte su quelli che sono i contenuti anche per quello che riguarda la scelta di proporla in questa maniera sia per quello che riguarda la suddivisione in più 'volumi' che per quello che riguarda le modalità di accedervi per chi voglia intraprenderne la lettura. Ci sono altre opere o progetti letterari o comunque legati al mondo della fantascienza a cui stai lavorando in questo momento?

P. Odissea nel futuro è in realtà un unico romanzo, anche se il suo sviluppo narrativo ammetteva la suddivisione in otto parti (che del resto è stata un’idea dell’editore). In questo momento è disponibile in un unico volume in formato elettronico, e dovrebbe uscire anche su carta in edizione limitata. L’idea di fondo è quella di un futuro in cui il mondo ha smesso di essere globalizzato e in cui le culture sono tornate “locali”; un mondo in cui esistono animali transgenici, a volte quasi favolosi, ma soprattutto dominato da un potere apparentemente invincibile... di cui non ti parlo per evitare di fare spoiler! Ti confesso che mi sono divertito moltissimo a scriverlo (e spero che sia altrettanto divertente e interessante da leggere). Per quanto riguarda i progetti futuri, sto lavorando a un nuovo romanzo, ma anche di questo preferisco non parlare: qualcuno ha detto che scrivere un romanzo è un po’ come attraversare l’oceano atlantico in una bagnarola, e per il momento sono ancora sulla spiaggia che scruto il momento buono per partire!

5. Inevitabilmente devo farti una domanda per quello che riguarda il mondo della fantascienza Made in Italy contemporanea. Un campo del quale ammetto io stesso di sapere relativamente poco rispetto a quella che invece è una realtà credo variegata e nella quale possiamo considerare diversi autori molto bravi tra i quali mi viene da pensare immediatamente a Maico Morellini oppure Alberto Cola, Dario Tonani... Che cosa ci puoi dire di questa realtà letteraria? Mi riferisco sia a quella che è la qualità di chi scrive che alla attenzione e il seguito dei lettori. Che riferimenti daresti a chi voglia cominciare in qualche maniera a entrare e successivamente 'orientarsi' in questo 'micro-mondo'?

P. A mio parere la fantascienza italiana non è meno valida di quella che si scrive in altri paesi. Come dici tu, abbiamo ottimi autori (anche giovani davvero in gamba, come Linda De Santi che ha appena vinto il premio Urania Short). E’ inutile nascondersi che la fantascienza letteraria (non solo in Italia) è in declino, almeno in questo momento. L’aspetto paradossale è che questo declino corrisponde a un autentico trionfo della FS cinematografica (a parte l’episodio 8 di Guerre Stellari, di cui non ho ancora i dati, vorrei notare che tra i cinque film che hanno fatto i maggiori incassi di sempre tre sono FS (Avatar, Star Wars ep. 7 e Jurassic World), a cui devi aggiungere Avengers, che comunque rientra nel filone FS. E’ difficile dire se ci sia una connessione tra questi due fatti. A mio parere, sì. E’ come se la gente si aspettasse dalla FS soprattutto la spettacolarità degli effetti speciali e la grandiosità delle immagini che sono tipiche della FS cinematografica, e badasse poco agli aspetti narrativi, allo sviluppo dei personaggi, alla novità delle idee. Se ci fai caso, i film di maggior successo sono spesso deludenti da questi punti di vista... E’ un declino definitivo? La FS del futuro sarà quasi esclusivamente cinematografica? C’è modo di invertire la tendenza? Il discorso, anche in questo caso, è troppo lungo. L’unica cosa che vorrei notare è che, almeno da noi, la FS è diventata sempre di più una nicchia frequentata quasi esclusivamente da addetti ai lavori: scrittori, editori (quei pochi che ci sono), blogger, appassionati puri... Credo che la strada per un recupero del genere passi inevitabilmente per un allargamento dei confini attuali: dobbiamo convincere i lettori generici che la FS può ancora essere un genere interessante.

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