Pensa a suoni lontani dall'Europa il francesissimo très chic Pierre Boulez durante la composizione del pezzo più celebre della fase iniziale della sua carriera, "Le marteau sans maître": e così, nella strumentazione, include chitarra classica, vibrafono e xilorimba che suggeriscono rispettivamente il koto giapponese, il gamelan di Bali e il balafon africano.
E pensa anche a un modo di comporre una musica fatta non di note, ma di suoni: è l'organizzazione seriale dei suoni, dove il concetto di serie viene esteso non solo alle note (cioè alle altezze, per usare un termine tecnico) ma a tutti i parametri costitutivi del suono, cioè le durate, le intensità, i timbri, oltre alle altezze. Anche altri, in Europa, stavano cominciando a farlo a metà degli anni '50, ma Boulez è un capofila, uno tra quelli che ottengono i primi importanti risultati.
"Le marteau sans maître" è una suite per voce femminile di contralto e 6 strumentisti (oltre a quelli già ricordati, nell'organico vi sono anche flauto, viola e percussioni). 37 minuti la durata, viene presentato in prima esecuzione nel giugno 1955 a Baden-Baden, in Germania. Allora Boulez aveva trent'anni: considerava questo lavoro come "un arricchimento del vocabolario sonoro europeo tramite la presa in considerazione di ciò che è extra-europeo".
E questa musica suona ancor'oggi nuovissima, continuamente cangiante, in contrapposizione frontale alla rigidità stilistica della tradizione sinfonica ottocentesca e dei suoi residui nel primo Novecento. Si tratta di una suite perché il pezzo è suddiviso in nove brevi sezioni; gli strumenti non suonano mai tutti assieme ma in piccoli sotto-gruppi che cambiano di sezione in sezione, assicurando varietà e dinamismo al pezzo.
I testi cantati sono presi a prestito dal poeta surrealista René Char: è suo il poema intitolato "Le marteau sans maître". La voce di contralto è una presenza discreta, interviene in quattro delle nove sezioni, nell'ultima con la tecnica del canto a bocca chiusa: conclusa l'articolazione dei testi visionari di Char, la voce torna a essere puro suono che si integra con gli altri suoni da cui è circondata.
Una musica fatta di suoni, non di note: lo si diceva prima. Una musica non facile ma di grande varietà e ricchezza, paradossale risultato del rigore estremo delle sue leggi: è questa la lezione di Pierre Boulez.
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