Ho appena finito di ascoltare Anima Latina (con l'hi-pod, mentre strappavo l'erbaccia nell'orto), c'è questo senso di vuoto (positivo) dentro, probabilmente, lasciato dalla grande suggestione esercitata dal disco sopraccitato, e dico, "lasciami fare una recensione, di qualsiasi cosa, su debaser, così...". Sto pensando ai dischi che posso recensire: dunque, qualcosa di poco conosciuto, qualcosa di mai recensito, ma che non sia il mio solito sottobosco spaghetti-prog, anche se però,...Perigeo? mah, Allluminogeni? bah, Pierrot Lunaire...mmm...Pierrot Lunaire? Si, cazzarola!! Tutti li "conoscono" per il loro album d'esordio datato 1974, all'insegna di un soave prog folk, ma non tutti sanno che nel '76-'77 la formazione romana diede alle stampe un disco ancor più interessante e misconosciuto:

                                                                   

GUDRUN

Via Vincenzo Caporaletti (chitarra, basso, flauto) e dentro il soprano di origine gallese Jacqueline Darby (voce, gnocca), nel 1975 i Pierrot Lunaire sono pronti per un'altra prova discografica, assai più ardita dell' album d'esordio, più matura: in questo disco si parla di avanguardia, e musica contemporanea, ed i solchi dell'LP, "Gudrun" (dal nome di un personaggio della mitologia nordica), grondano nobiltà e cultura da tutte le parti.

Il nucleo del trio, formato da Arturo Stalteri (tastiere, percussioni, voce) e Gaio Chiocchio (chitarra, tastiere, sitar, voce, RIP) questa volta ha voluto fare le cose in grande: si parte con la title-track, un colosso di 11 minuti e passa in cui a farla da padrona è la sperimentazione in ogni sua forma, musica medievale, synth, chitarre filtrate attraverso chissà quale macchinario (un forno a microonde?), fraseggi di piano, e quei gorgheggi femminili, Guuuuudruuuuun,... un viaggio allucinato ed imperdibile, a mio avviso sul livello del migliore Kraut-rock (anche se c'entra poco): incredibile come ti faccia navigare tra le onde della tua mente mentre la salsedine che solo tu puoi percepire ti incrosta le palpebre... e poi ancora giù nel mare dell' irrazionalità.

Ma il disco non è solo la title-track: segue la rilassante "Dietro il silenzio" dove le dolci e lente note di Stalteri al piano sono solo un altro pretesto per dare piena libertà alla mente, lasciarla disegnare nuove forme, nuove percezioni (disegnare percezioni, mah...).

"Plasair D'amour" cantata in francese sembra una melodia popolare appoggiata su un architettura molto semplice di synth volutamente fastidiosi ed al rumore bianco, mentre "Gallia" e "Giovane madre" mirano ad una sperimentazione che guardi un po' in tutte le direzioni, la prima con del rumorismo, la seconda puntando sulla sapiente contaminazione con il jazz rock: il tutto filtrato attraverso suoni distorti, drogati, sghembi e calanti (compare anche una batteria suonata da un membro esterno, tale Massimo Buzzi).

Con "Sonde in Profondità" sembra di essere di fronte al Battiato dei '70 più ispirato, su un sottofondo new age fatto di suoni rarefatti ed arpeggi, si innesta una registrazione di un bollettino di guerra, letto da un radiofonista, mentre in "Morella", è la drammaticità del canto di Jacqueline Darby a farla da padrona, è il brano più pop e melodico del disco, ma è anche uno dei punti più alti, un vortice di intensità e contrappunti di rara eleganza.

Il disco si chiude con "Mein In Armen Italiener" introdotto da un coro stonato de 'ggente 'mbriaca, ma è solo un momento, partono furibonde la batteria e la chitarra elettrica che spazzano via tutto in una specie di punk-hard-rock selvaggio e primitivo: qualche istante dopo clavicembalo e voce lirica calmano tutto, rumori, l'esercito nazista, e poi.... Il silenzio.

L'opera verrà pubblicata solo nel 1977 a gruppo gia sciolto: di Jacqueline Darby non si seppe mai più nulla, Arturo Stalteri continuò e continua tuttora la sua attività di pianista e musicista d'avanguardia, Gaio Chiocchio, Dio lo abbia in gloria, l'extraterrestre, diventò un paroliere, collaborò con Minghi (e chi se la scorda più "1950"),  e nel 1996, se ne andò in punta di piedi, ancora giovane, per un infarto, dopo una vita da vero poeta maledetto; droghe allucinogeni ed alcol lo consumarono e pian piano lo costrinsero ad abbandonare questa frivola dimensione, questo porcile dove si ruba, si ciula per far carriera, si fanno le foto porche e poi a quarant' anni ci si fa monaci e suore e tutti ad applaudirti per la saggia scelta di redenzione: ma dentro, dipp' insaid, il chip è ancora arrapato e burino.

"...Acqua, acquetta, acquerella, acquerugiola, acquolina, acquona..."

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