Non starò qui a tediarVi parlandovi del perchè e del come sia arrivato ad avvicinarmi, per poi appassionarmi, e poi ancora innamorarmi perdutamente dell'opera; basti sapere che è già da qualche tempo che mi sto avventurando su questi sentieri, concentrandomi soprattutto su un repertorio che cronologicamente parte da Verdi per arrivare a Britten. Il percorso è ancora lontanissimo dal poter dirsi completo, ma ricapitolando quanto ascoltato finora posso dire di essermi imbattutto, tra tanti grandissimi capolavori (e qualche delusioncina), in tre opere che si sono prese un posto molto speciale nel mio cuore, arrivando al grado più alto della mia personale scala di gradimento: trattasi del Macbeth di Verdi, Salomè di Richard Strauss e, per l'appunto, Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni.

Le prime due sono parte integrante del repertorio operistico standard, Ratcliff no, e data la bellezza mozzafiato di questo lavoro, viene spontaneo chiedersi perchè. Di perchè ne ho letti tanti, ma sinceramente non mi interessa granchè indugiare su questo discorso, dato che per fortuna esiste il Wexford Festival Opera. Spendiamo invece qualche parola per Mascagni, compositore avventuroso ed eclettico, dotato di sublime intuito melodico, sicuramente meno abile di un Puccini nell'interpretare il gusto del pubblico e le tendenze del momento; Mascagni adorava questa sua opera, considerandola (giustissimamente) il suo personale capolavoro. Capolavoro dalla genesi lunga e sofferta, la cui composizione è in larga parte precedente a quella del suo rivoluzionario e fortunatissimo esordio, Cavalleria Rusticana.

Wexford è una pittoresca cittadina costiera irlandese e, a partire dal 1951, in autunno vi si svolge un festival in cui vengono eseguite opere che non trovano spazio nel circuito "mainstream" dei grandi teatri, sia di autori relativamente "oscuri" che lavori meno conosciuti di grandi nomi. Pezzo forte dell'edizione 2015, esattamente centoventi anni dopo la prima alla Scala, un "compleanno" celebrato in grande stile con la pubblicazione di questo doppio CD in un'elegante confezione in digipack corredata da informazioni su Mascagni in generale e Ratcliff in particolare, la trama dell'opera, i profili degli interpreti e, ovviamente, il libretto nella sua interezza. Guglielmo Ratcliff è un lavoro pienamente definibile come romantico, una storia di violente passioni e suggestioni spettrali, sullo sfondo brullo e fascinoso delle highlands scozzesi. La vicenda si muove su due livelli, il "presente" e l'antefatto, quest'ultimo rappresentato da lunghe, ammalianti narrazioni che costituiscono il tratto più caratterizzante di quest'opera, conferendole una singolare bellezza.

La sincera passione e l'entusiasmo febbrile del compositore si percepiscono in ogni singolo momento, e con la maestosità struggente dell'intermezzo comunemente noto come "Sogno", melodia da cui nascerà poi "Somewhere Over The Rainbow" Mascagni dà un'altra magistrale dimostrazione della sua rinomata creatività orchestrale, che traspare ampiamente anche in una stupenda overture, anch'essa molto "cinematica" e nella leggera, giocosa danza che apre ingannevolmente il tragico, ultimo atto; l'epico finale della scena del duello nel terzo atto, di grande impatto scenico, è la testimonianza più evidente della strisciante influenza wagneriana che caratterizza gran parte dell'opera italiana di fine '800, Verdi compreso. Le scene del secondo atto che hanno come protagonista il locandiere Tom e i suoi poco raccomandabili avventori ci ricordano che abbiamo comunque a che fare con l'inventore del verismo, e danno alla vicenda una dimensione più concreta, più "terrena" ed ancorata al suo scenario.

Assai fascinoso il personaggio di Margherita, punto di contatto tra i due binari della narrazione, ruolo da mezzosoprano sì drammatico ma con colori eterei, più vicina a Dalila che ad Azucena o Ulrica, che raggiunge il suo apice nella ballata del quarto atto, meravigliosa narrazione che si richiama alla celebre tradizione delle murder ballads britanniche; dal canto suo Maria, la protagonista femminile (pur se messa un po' in ombra), si ritaglia il suo pregevolissimo spazio con "D'indole dolce e mansueta", melanconica romanza che richiede un bel timbro da soprano lirico.

Guglielmo Ratcliff però giganteggia su tutti gli altri personaggi; è un ruolo la cui difficoltà è quasi leggendaria, e nel secondo atto si rivela in dieci minuti di narrazione/monologo da brividi, il momento più alto di tutta l'opera e, almeno secondo me, uno dei massimi apici della musica tutta: "Quando fanciullo ancora", che sta a Ratcliff esattamente come "In questa reggia" a Turandot. Vale a dire, qui l'antieroe si spiega, si mette a nudo, dipingendo un autoritratto e un movente per le sue azioni, e un personaggio così complesso e pieno di sfaccettature non può che ispirare un capolavoro. L'ossessione, il senso dell'onore, la febbrile carica erotica, l'instabilità di temperamento, il ricordo lontano ma vivido di un idillio paradisiaco; c'è tutto questo in dieci minuti in cui dolenti pianissimi ed aperture orchestrali si alternano ad acuti vividi e strazianti, la voce del desiderio frustrato e della felicità perduta. Pur nella mia sostanziale ignoranza tecnica, mi è impossibile non percepire l'estrema difficoltà di un pezzo del genere, difficoltà che non è solo tecnica, legata alla continuità del cantato su un registro alto, esasperato e agli acuti, è in egual misura una difficoltà interpretativa, che richiede un tenore che sia veramente drammatico in ogni possibile accezione del termine. Un ruolo per pochi, pochissimi, certamente non alla portata di "poperisti" e tenorini da show business.

Ruolo che, in questa rappresentazione, il bravissimo Angelo Villari ha interpretato in modo secondo me impeccabile, così come il mezzosoprano Annunziata Vestri, che interpreta Margherita con grande evocatività e senso della misura e il basso Gianluca Buratto nel ruolo di MacGregor, specialmente nell'elegante narrazione del primo atto. E questo è tutto, direi.

Carico i commenti...  con calma