Una distesa verde in campagna in cui il mio sguardo si perdeva. Ricordo che vedevo questo, ad appena quattro anni (!), seduto sul sedile posteriore dell’auto mentre si andava chissà dove, ascoltando i Pink Floyd. Ero innamorato di questo disco (musicassetta, ovviamente), volevo ascoltarlo continuamente e metterlo nello stereo era la prima cosa che chiedevo quando salivo in macchina.
Non sapevo chi fossero, non sapevo nulla, tantomeno ero al corrente che questo “A Collection of Great Dance Songs” fosse una sorta di scarso e inutile Best of del periodo “Meddle”-”The Wall” (rimase poi per me il loro miglior periodo: non a caso, probabilmente), ma la musica che conteneva.. Cavolo, la musica che conteneva era qualcosa che colpì la mia mente e la mia immaginazione fin dalle primissime note di “Shine On You Crazy Diamond”: misteriosa, fantasiosa, oscura, luminosa, spaziosa, spaziale, stimolante, emozionante, affascinante, adulta. Si, adulta, perché la sensazione che provavo da bambino era anche quella di ascoltare qualcosa “per grandi”, qualcosa di “proibito ai piccoli”, di “vietato ai minori”, in qualche modo. Ricordo anche che spesso mi mettevo a osservare quella strana e affascinante copertina, con quei due tizi immobili, legati con delle corde a terra, mentre danzavano, in mezzo a un campo con una casa in lontananza, in un’atmosfera indefinita che poteva essere tanto un’alba quanto un tramonto: era un’immagine che evocava qualcosa che da bambino non riuscivo a definire, perché la percepivo tanto misteriosa quanto rassicurante e in qualche modo questa impressione andava a confermare l’idea che mi ero fatto a proposito della loro musica.
“Shine On You Crazy Diamond” era la notte oscura più illuminata che avessi mai ascoltato (e visto; perché la loro potenza visionaria e cinematografica portava già allora la mia immaginazione a viaggiare libera),“Wish You Were Here” era la giornata di sole disteso su un prato che si perdeva a vista d’occhio, “Sheep” era allo stesso tempo luce e buio. E poi le inspiegabili, contrastanti sensazioni che mi trasmettevano i suoni e l’ossessività di “One Of These Days”, l’imponenza di “Another Brick In The Wall part 2” e i rumori che caratterizzavano pesantemente “Money”. Tutto in quel disco alle mie orecchie suonava perfettamente inconsueto ed extraterrestre, pur percependolo in qualche modo familiare, mi faceva provare sensazioni che mai avevo provato prima e giungeva alle mie orecchie e alla mia immaginazione come un unico flusso di coscienza strumentale: per anni infatti rimasi convinto che i Pink Floyd fossero un gruppo “strano” (senza neanche lontanamente immaginare il peso che avevano avuto nella storia del rock) e fondamentalmente strumentale che rarissimamente si concedeva qualche parte cantata. Questo arrivò a un bimbo che rimase folgorato da quella musica che alle sue orecchie suonava così diversa, particolare, originale e allo stesso tempo estremamente accattivante.
La musicassetta negli anni andò persa nei meandri di casa e per tantissimo tempo non li ascoltai più, a parte il concerto a Venezia, che mi lasciò però molto deluso: non sapevo nulla né di Waters e Gilmour, né tantomeno di Barrett, però non ritrovai le atmosfere che mi avevano affascinato tanti anni prima (eccezion fatta per l’apertura con la primissima, splendida parte di “Shine On You Crazy Diamond”), il resto, a dirla tutta, non mi piacque proprio per niente e non completai nemmeno la visione (eh, la voce dell’innocenza… Non a caso i pezzi eseguiti immediatamente dopo l’apertura facevano tutti parte di “A Momentary Lapse Of Reason”, che infatti ancora oggi ritengo sia il loro peggior album).
Passarono altri anni e feci tante altre scoperte musicali che mi influenzarono profondamente; poi decisi, oramai quasi diciottenne, di andare alla ricerca dei dischi di quello “strano e grandioso gruppo strumentale” (partendo da quello strano disco con la copertina scura, con una piramide attraversata da un raggio di luce che diventa un arcobaleno su cui non c’erano nemmeno titoli delle canzoni e nome del gruppo: tutti elementi che contribuivano al suo fascino, ai miei occhi), di cui mi ero innamorato tanti anni prima e capii tante cose sulla loro musica e sulla loro storia, innamorandomi di loro per la seconda volta: ogni volta che li ascolto, in un certo senso, i miei occhi tornano a scrutare quelle immense distese verdi attraverso cui già tanto avevo viaggiato, non solo fisicamente, da piccolo.
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