PINK FLOYD
THE DARK SIDE OF THE MOON
Harvest, 1973
Prodotto dai Pink Floyd
Roger Waters – Basso, VCS3, Campionamenti, Voce
David Gilmour – Chitarre, VCS3, Sintetizzatore, Voce Solista
Rick Wright – Tastiere, VCS3, Voce
Nick Mason – Batteria, Percussioni, Campionamenti
1. SPEAK TO ME / BREATHE
2. ON THE RUN
3. TIME / BREATHE (Reprise)
4. THE GREAT GIG IN THE SKY
5. MONEY
6. US AND THEM
7. ANY COLOUR YOU LIKE
8. BRAIN DAMAGE
9. ECLIPSE
Ci siamo. Dopo anni di tentativi, esperimenti, viaggi interstellari, pomposità orchestrali e minimalismi bucolici, ecco il disco che raccoglie l’anima dei Pink Floyd anni ’70: "The Dark Side Of The Moon" non è solo il climax compositivo e musicale dell’esperienza del gruppo post-Barrett, ma anche un compendio di sperimentazioni centrate in pieno, grazie alle rivoluzionarie tecniche di campionamento e mixaggio del geniale Alan Parsons. Il tecnico del suono e i quattro membri del gruppo infatti hanno registrato (e quindi inserito a regola d’arte nella musica) effetti sonori di ogni genere e interviste vocali ai personaggi più disparati (da big della rock al portiere di Abbey Road) su temi quali la violenza, la pazzia e la morte. Dark Side segna l’inizio dell’era di Roger Waters come unico autore di testi del gruppo e, di fatto, padrone delle redini floydiane: ispirato probabilmente dall’esperienza dell’amico Syd, il tema del capolavoro è la follia, l’abbandono progressivo delle facoltà psichiche in un vortice schiumoso di buio, condensato per la prima volta in un concept album.
Un battito cardiaco in crescendo si fonde con rumori meccanici e voci lontane, deliranti nel loro sogghignare; un martello pneumatico sale e viene spazzato via da un urlo disperato. "Speak To Me" è l’anticamera perfetta per il disco, incollandosi alla perfezione con la successiva "Breathe", distesa e rarefatta tra gli slide di chitarra alla Meddle. Allegoria della creazione e della nascita, culla la dolcezza della voce di Gilmour in accordi ricercati di pianoforte, trasmettendo la pacifica tranquillità infantile dell’innocenza incosciente. I passaggi di batteria di Mason sono scale scese gattonando da un bambino elettrico, sorridente e giocoso, che ancora non sa quale triste futuro gli si parerà incontro.
Il cuore si tuffa nel petto e comincia a correre affannoso insieme a "On The Run", espressione usata più volte nel corso della carriera da Waters per indicare la follia: un precipitarsi, con foga, verso il traguardo nero dell’oblio, l’annullamento della mente, l’isterica cella della pazzia. L’incedere frenetico è trasportato da onde di sintetizzatori, obnubilanti e magnetici nel loro accompagnare ed affondare, mentre compaiono sullo schermo del cervello un ronzare ossessivo, voci meccaniche e respiri affannosi, pulsazioni sintetiche, confessioni di spiriti malati, raid aerei ed esplosioni: la corsa è giunta nel pieno della sua foga, lasciando dietro ogni possibile appiglio reale.
Nella fosca brughiera nebbiosa all’improvviso esplodono decine, centinaia, migliaia di sveglie ed orologi, nel loro trillare stordente e assordante: quale miglior apertura per "Time"? Il frastuono meccanico scivola via, dando spazio ad un pulsare costante su cui percussioni, organi e chitarre appaiono come minacciosi esseri, ora sparendo ora riapparendo, per avvicinarsi sempre di più alla canzone vera e propria. David Gilmour pilota i testi di Waters sulla riflessione del come il tempo scorra in maniere diverse a seconda delle età su un tapis roulant di una canzone perfetta, nella sua struttura strofa-ritornello-assolo mozzafiato di una Stratocaster commovente-strofa-ritornello. Le dolcezze si alternano a parti più decise, descrivendo un arcobaleno armonioso e magnifico, sfociante di nuovo in Breathe, tema iniziale, soffice e rassicurante nella sua grandiosa semplicità.
E’ malinconia da brividi quella narrata da "The Great Gig In The Sky", stupendo passaggio firmato Rick Wright. Il pianoforte guida i vocalizzi maestosi di Clare Torry, caldi e strazianti e così comunicativi nonostante l’assenza di parole. La batteria perfetta di Mason scandisce e accentua gli attacchi e la risacca della poesia non verbale. I sospiri e la voce piena della Torry spiegano a tutti le tappe emozionali della morte, prosecuzione naturale della perdita di tempo, dalla tristezza alla rassegnazione alla rabbia, in una delle composizioni più emozionanti di sempre firmate dai Pink Floyd: una conclusione gloriosamente viva per il lato A dell’album.
Il secondo lato del disco ci accoglie con rumori di registratori di cassa che si sovrappongono fino a creare il caratteristico quanto insolito tempo in 7/4, struttura portante per uno dei giri di basso più famosi di ogni tempo: ecco "Money", capitolo riservato al vile denaro in quanto attore di alienazione e insanità. Pezzo più radiofonico degli altri inseriti nel concept, con dondolare scanzonato si allontana dal sentiero buio per abbracciare un magnifico assolo di sax, anticamera di un’altra esibizione magistrale di Gilmour alla chitarra in una variazione da pelle d’oca. Nonostante Dark Side sia un unico filone omogeneo, Money spicca come “canzone”, diventata una delle più amate e richieste dai fan. Il vociare disordinato spazza anche la coda di questo brano, per scendere nuovamente nelle nebbie anestetizzanti del lato oscuro della Luna.
"Us And Them" è lenta e morbida, avvolta in spire di pianoforte e sassofono mentre Gilmour recita con dolcissime eco i versi di Waters contro le guerre nei paesi poveri. La quiete anestetica viene spezzata dall’infiammarsi della pozione tranquillante, un innalzarsi di toni da lacrime agli occhi scuote il senso di calma per tuffarsi nelle bollenti ed inquietanti acque sonore. Lo strepitoso spazio musicale creato dal compianto Rick Wright diventa leggenda quando il sax di Dick Parry si innalza nel cielo a completare la magnificenza maestosa e lieve al tempo stesso di questo capitolo.
Il viaggio si inacidisce su sintetizzatori psichedelici d’annata in "Any Colour You Like", passaggio strumentale sull’illusione di avere scelte differenti anche quando ce n’è una sola. Le chitarre di Gilmour urlano e stridono, annodandosi con gli altri strumenti per un’ascesa spaziale in un fiume artificiale, colmo di elettronica all’avanguardia, e sfociante in quel mare in dolce tempesta che è "Brain Damage".
Quella che è, di fatto, la title-track (“dark side of the moon” viene ripetuto più volte) è l’unico momento interamente watersiano: musica, parole e voce sono infatti suoi domini. Se la composizione risente da lontano delle semplici strutture bucoliche delle passate composizioni di Waters, con la chitarra relativamente spoglia e la predominanza data alla voce, le parole sfondano il guscio emozionale e vanno dritti al cuore della tematica: la follia. Il danno cerebrale è lì, ormai evidente, e lo splendore del ritornello non può nascondere le risate inconsciamente isteriche che aleggiano attorno alla mente devastata del protagonista , incapace di riconoscere se stesso nell’oceano della follia (“There’s someone in my head, but it’s not me”). L’apparente gioiosa allegria altro non è che irrazionale rassegnazione ad abbracciare il lato oscuro della Luna.
"Eclipse" è la prosecuzione naturale, nonché vertice emozionale e conclusivo del disco: la litania dei Pink Floyd, gli strumenti e i cori magici si mischiano in un vortice unico di emozioni sonore che spinge la navicella mentale sulla faccia buia, felicemente inconsapevole di aver abbandonato la razionalità, e libera di potersi abbandonare nuovamente al primitivo e familiare battito cardiaco con cui il viaggio era iniziato.
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