"We certainly are underspoken and understanding
But there's a lot of things unsaid as well
We shout and argue and fight, and work it on out"

(Richard William "Rick" Wright 1943-2008)

Torno a recensire su Debaser dopo un anno e mezzo con un'opera già recensita, ma di cui volevo condividere il pensiero (liberi di essere in disaccordo)-

Per cominciaare (ammetto che più che una recensione, sarà un flusso di coscienza): non è un disco per i neofiti. Nonostante nei suoi 53 minuti di durata si citi (quasi) tutta la carriera della band, se una persona mi chiedesse da quale disco partire per iniziare ad ascoltarli...beh, non sarebbe questo. Questa opera è per i fan di vecchia data, per coloro che (come me) hanno consumato tutta la loro discografia. E' per loro.

E per Rick.

Non so perché queste registrazioni ambient risalenti a venti anni fa ("The Division Bell" sessions) siano venute fuori solo ora, ma francamente non mi interessa nemmeno saperlo; sta di fatto che questo disco è un elogio al fautore del vero Pink Floyd sound: il silenzioso Rick. E' a lui che Gilmour e Mason (coff coff...Waters assente) dedicano la loro ultima fatica.
Andando ad ascoltarlo, si può già sentire dalle prime note come il tappeto sonoro creato dalle sue tastiere permei l'intero album, e Gilmour sostanzialmente ci suoni sopra. Per salutarci hanno voluto cimentarsi con un album sostanzialmente ambient (ma non solo), e totalmente strumentale, fatta eccezione per l'ultima traccia.

Tornando al punto di partenza: perché non è un disco per neofiti? Perché è una continua citazione sonora a vari periodi della band: possiamo trovare echi di "Shine On You Crazy Diamond" ("It's What We Do"), del suond anni '80 ("Allons-y (1)" e "Allons-y (2)"), echi di certe fughe strumentali anni '60 (in generale il lato 2), oppure tornare alla musica più recente del penultimo disco (a tal proposito salta subito all'occhio "Talkin' Hawkin'").

Data la particolare struttura del disco (4 suite divise in varie sotto-sezioni) e l'atmosfera particolare, distante dai canoni floydiani, è comunque superfluo recensire pezzo per pezzo le 18 tracce del disco, perché deve essere percepito più come un continuum in cui immergersi dentro; ciò può scoraggiare l'ascoltatore inesperto, o semplice che si annoia facilmente con suoni ambient e strumentali, ma va ascoltato tenendo conto del fatto che non pretende di essere il disco dei Pink Floyd, assolutamente no, ma come un omaggio.

Magari chi di voi ha letto fino a questo punto senza stancarsi si sarà già chiesto: "Ma a te è piaciuto?". Risposta: .
Sì, perché è indirizzato a tipi nostalgici come me, perché vuole essere una postilla, un piccolo post scriptum all'immensa carriera di questi artisti (perché artisti sono), in cui riassumo i loro oltre 45 anni di carriera, senza alcuna pretesa di tornare in cima al mondo (ci hanno già pensato a farlo tra il 1967 e il 1979). Non è da prendere seriamente con spirito critico, e cominciare la diatriba gilmouriani-watersiani, o criticarlo perché certi frangenti sono noiosi e poco mordaci (cosa che condivido, perché il lato 1 è l'unico che proprio non mi convince affatto); è da prendere con le emozioni, e con questo ci sono riusciti in pieno.

Piccolo appunto finale per l'unica traccia con lyrics: "Louder Than Words". Autentico manifesto oraziano del 'Non omnis moriar' (Odi, III, 30), il testo stesso è una summa di citazioni testuali ad altri testi di altri album (sì, ho scritto questa riga apposta), rivestito di un'elegante produzione e di un intro e di un outro palesemente citazionisti (le campane di "Fat Old Sun" e "High Hopes", e il finale di "Bike"). Molto bella.

Insomma, il mio voto è un 3,5/5, arrotondato a 4, perché non è né il peggiore, né il migliore album della loro carriera: è solo un estremo saluto a Rick e ai fan, prima di navigare sulle nuvole come il ragazzo della copertina.


"Float on a river, forever and ever"

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